Dodds e l'irrazionale
I greci e l'irrazionale, di Eric Dodds, è forse il libro più noto sul carattere superstizioso ed esoterico dell'antica Grecia; è senz'altro uno dei più citati. Impossibile leggere un libro di storia o letteratura greca senza incappare in almeno un paragrafo che citi vagamente, e rimandi a, le tesi di Dodds. Pochi giorni fa, ad esempio, consultavo una pagina della Treccani sul sogno presso i greci (per inciso, non ho trovato l'informazione che cercavo, che riguardava Epicuro)... e cosa vi trovo? Si consigliava, per approfondimenti, il libro di Dodds, ormai vecchio di più di settant'anni.
Ho letto I greci e l'irrazionale. E ho scoperto che è vero ciò che Eco diceva di molti libri: che, pur non avendoli mai letti, ne conosci già il contenuto, perché goccia a goccia sono filtrati in altri libri, quelli sì che tu hai letto. Non nel dettaglio (ad esempio, non mi era mai capitato di imbattermi nella teoria di Dodds sull'influenza dello sciamanesimo siberiano sulla religiosità greca), ma nell'impostazione generale sì, eccome.
In questo post vorrei affermare e poi sostenere un'ovvietà: che ci servirebbe un testo aggiornato sull'argomento, abbastanza prestigioso da citare a ogni piè sospinto. I greci e l'irrazionale è uscito nel 1951: e sebbene Dodds fosse a conoscenza dei più recenti risultati dell'antropologia (cita a proposito Malinowski, Lévy-Bruhl ecc.), ignorava naturalmente i progressi dei successivi settant'anni. Quando fa riferimento a popolazioni distanti (i "primitivi" li chiama; oppure i "selvaggi"), o quando cerca di comprendere meglio i greci delle origini, si contenta di prendere il proprio pensiero europeo moderno e semplificarlo un po', a spanne, fino a trovare qualcosa che collimi con le sue teorie (fa lo stesso coi greci del suo tempo). Insomma ha un approccio evolutivo all'antropologia, del tutto in linea con gli studi coevi. Da una parte ci sarebbero le popolazioni semplici, ingenue, quasi bambinesche; dall'altro le popolazioni mature ed evolute scientificamente; e in mezzo tutti gli stadi che porterebbero dalle prime alle seconde. Tant'è che, nella parte che personalmente reputo la più interessante (l'appendice dedicata alla teurgia), Dodds non ha remore a citare Il ramo d'oro di Frazer. Ora il lavoro di Frazer, forse il più grande compendio di cose meravigliose del mondo, è un'opera-cardine non tanto del pensiero "selvaggio" quanto del pensiero antropologico, ma oggi è riconosciuto nei suoi numerosi limiti.
In Dodds ci sono, e sono le parti meno interessanti e fruttuose del suo lavoro, alcuni tentativi di riportare lo straordinario al fisiologico. Intendo dire, e se anche Esiodo avesse avuto un'autentica allucinazione uditiva, come l'autore discute nel quarto capitolo, quando cantava dell'investitura da parte delle Muse dell'Elicona? Son sforzi oziosi, al di là di quanto noi potremmo ragionevolmente sapere, perché le fonti puntano in un'altra diversa. Valgano da ammonimento gli stoici e i primi razionalisti, quando sostenevano che le visioni della pizia erano causate dai vapori del sottosuolo di Delfi; un'ipotesi del tutto razionale ma che noi oggi tendiamo a rifiutare: infatti non è chiaro se a Delfi ci fossero mai stati dei vapori - probabilmente no -, né come, ammessa la loro presenza, questi vapori dovessero funzionare. Non è allora più proficuo studiare l'esperienza vissuta e/o raccontata da Esiodo, che non il suo equilibrio neuropsicologico? Opinione che in effetti, per la maggior parte del tempo, sembra condividere anche il Dodds.
Non me ne vogliate: Dodds rimarrà un punto di riferimento negli studi di grecistica da qui alla fine dei tempi. Tuttavia - e sarà magari una debolezza generazionale - vorrei che uscisse presto, anzi subito, un libro altrettanto illustre, da poter citare in continuazione, scritto con la stessa conoscenza enciclopedica del mondo antico, ma con qualche teoria antropologica e psicologica più moderna (o che perlomeno non sia stata tanto strapazzata da settant'anni di studi) a suo sostegno.
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