Amleto nella stanza della madre
Ovvero "Amleto e il Complesso di Edipo secondo Freud. Una discussione".
Insomma, che Amleto sia matto questo ci sentiamo di escluderlo; ma che ci sia in lui un depauperamento delle risorse emotive, favorito da una personalità già di per sé malinconica, e un irrigidimento nel processo di presa di decisione che gli impedisce di agire contro Claudio, diciamo che è più probabile, e nessuno si sentirebbe di smentirci.
Noi spettatori assisteremmo quindi a uno stato patologico indotto dal grave stress a cui è sottoposto il principe, e dal terribile dubbio che il fantasma sia in realtà il Diavolo mandato per fargli commettere un peccato, l'omicidio di un consanguineo. Un autore moderno, allo stesso modo, avrebbe instillato in Amleto il dubbio che il fantasma fosse un'allucinazione. Shakespeare non ci pensa: non è nello spirito del suo tempo.
Il tema della pazzia è presente già nella Vita Amlethi, una delle fonti di ispirazione di Shakespeare, e nella Tragedia Spagnola di Thomas Kyd, che il Bardo saccheggia per scrivere la sua opera. Tuttavia lì la pazzia è scopertamente una finzione, una dissimulazione; in Amleto invece assume un contorno più sfumato e sottile; e a distanza di molti anni, c'è chi si chiede ancora se Amleto fosse davvero pazzo.
FREUD RILEGGE AMLETO
Per introdurre l'argomento principale di questo articolo riassumo l'interpretazione psicologica che Freud dà dell'Amleto, in modo che sia chiara a tutti, e che poi si possa con più calma discuterla.
Freud parla di un Edipo, tra i più classici Edipo: nella tragedia ci sarebbero sia la morte del padre sia, più o meno nascosto, il desiderio sessuale per la madre. Pensiamo allora a un complesso edipico irrisolto di Shakespeare, proiettato, inconsciamente, tra le pagine di questo suo (capo)lavoro.
Facciamo mente locale. Shakespeare scrisse l'Amleto - probabilmente tra il 1600 e il 1602 - sotto una duplice influenza: quella della morte del figlio Hamnet, avvenuta nel 1596, e quella della morte di suo padre John, avvenuta proprio nel 1601. Oltre al processo di sublimazione, come meccanismo di difesa utile a fronteggiare il lutto, esiste la concreta possibilità di una riattualizzazione dei conflitti irrisolti dell'infanzia, che Shakespeare si sarebbe trovato ad affrontare da adulto, e che infatti sembrano tanto vivi nella sua tragedia.
Spero che fin qui sia chiaro.
David Garrick interpreta Amleto |
LA PAZZIA DI AMLETO
Inizio parlandovi d'altro. La questione della pazzia di Amleto, in sé, non ha molto a che fare col Complesso d'Edipo, ed è quindi meglio sbrigarsela subito, perché a lasciarla lì rischia di diventare problematica. Si può infatti parlare dell'una, la pazzia, perché è manifesta, senza scomodare l'altro, l'Edipo, che al massimo è inconscio - nel senso che neanche Shakespeare ci poteva aver pensato - se non indirettamente, se non parafrasando. Ci si chiede, fuor dai denti, se Amleto fosse davvero pazzo.
Chi afferma, e il testo sembra dar loro ragione, che la pazzia sia solo una montatura è convinto che Amleto si fingerebbe pazzo con l'obiettivo di passare inosservato mentre svolge la sua indagine e progetta la sua vendetta alle spalle dello zio. Il che si rivelerebbe un piano singolarmente mal congegnato: da quando è pazzo, Claudio non ha occhi che per lui. Seconda ipotesi, forse Amleto suscita volutamente le ansie di suo zio per smascherarlo - in maniera non dissimile da quanto fanno gli attori che mettono in scena, per suo ordine, L'assassinio di Gonzago. Amleto spera cioè che Claudio, esasperato, si tradisca e in un modo o nell'altro confessi. Ma siamo certi che sia così? Che non ci sia un'effettiva vena di pazzia che scorre nelle vene di Danimarca?
Chiaramente non è plausibile che le manifestazioni più vistose della pazzia di Amleto siano genuine. Non più di quelle di Tom O'Bedlam nel Re Lear. Le ripetizioni, i giochi di parole ("Cosa stai leggendo, mio signore?" chiede Polonio, e "Parole, parole, parole" gli risponde Amleto), le freddure, la fredda logica parossistica, sono tutte pose che il principe assume di volta in volta per fingersi pazzo. Quasi uno scherzo, è come un nobile danese (o, meglio, un drammaturgo inglese) doveva immaginare che fosse la pazzia; una maschera ridicola di nonsense. Ma ci sono altri momenti, quando Amleto è solo, e parla, e non avrebbe motivo di fingere, in cui avvertiamo la sua tristezza, i suoi pensieri morbosi, la sua incapacità ad affrontare la situazione corrente ("Il mondo è fuor di cardini | Ed è un dannato scherzo della sorte | Che io sia nato per rimetterlo in sesto"). Uno stato di depressione alternata a frenesia che culmina con l'assassinio di Polonio, che il principe, sul momento confuso e sanguinario, scambia per lo zio.
Lo Shakespeare's Globe Theatre |
Insomma, che Amleto sia matto questo ci sentiamo di escluderlo; ma che ci sia in lui un depauperamento delle risorse emotive, favorito da una personalità già di per sé malinconica, e un irrigidimento nel processo di presa di decisione che gli impedisce di agire contro Claudio, diciamo che è più probabile, e nessuno si sentirebbe di smentirci.
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Il tema della pazzia è presente già nella Vita Amlethi, una delle fonti di ispirazione di Shakespeare, e nella Tragedia Spagnola di Thomas Kyd, che il Bardo saccheggia per scrivere la sua opera. Tuttavia lì la pazzia è scopertamente una finzione, una dissimulazione; in Amleto invece assume un contorno più sfumato e sottile; e a distanza di molti anni, c'è chi si chiede ancora se Amleto fosse davvero pazzo.
FREUD RILEGGE AMLETO
Per introdurre l'argomento principale di questo articolo riassumo l'interpretazione psicologica che Freud dà dell'Amleto, in modo che sia chiara a tutti, e che poi si possa con più calma discuterla.
Freud parla di un Edipo, tra i più classici Edipo: nella tragedia ci sarebbero sia la morte del padre sia, più o meno nascosto, il desiderio sessuale per la madre. Pensiamo allora a un complesso edipico irrisolto di Shakespeare, proiettato, inconsciamente, tra le pagine di questo suo (capo)lavoro.
Facciamo mente locale. Shakespeare scrisse l'Amleto - probabilmente tra il 1600 e il 1602 - sotto una duplice influenza: quella della morte del figlio Hamnet, avvenuta nel 1596, e quella della morte di suo padre John, avvenuta proprio nel 1601. Oltre al processo di sublimazione, come meccanismo di difesa utile a fronteggiare il lutto, esiste la concreta possibilità di una riattualizzazione dei conflitti irrisolti dell'infanzia, che Shakespeare si sarebbe trovato ad affrontare da adulto, e che infatti sembrano tanto vivi nella sua tragedia.
Spero che fin qui sia chiaro.
LA PROVA... CONFUTATA
C'è una
scena molto famosa, presente tra gli altri nelle rappresentazioni di
Zeffirelli, di Branagh e in quella integrale di Rodney Bennett, che pare confermare questa ipotesi. Sto
parlando della quarta scena del terzo atto della tragedia, quella in cui Amleto
si confronta con la madre Gertrude, la
sbatte sul letto e poi la raggiunge, la cavalca, quasi le sfiora le labbra con
le proprie. Quale Edipo più chiaro di questo, verrebbe da chiedersi. La scena tuttavia presta
il fianco a numerose critiche, prima tra tutte il fatto che non sia una scena voluta da Shakespeare.
Laurence Olivier nel 1961 |
Nei copioni con le
indicazioni di scena, e nei dialoghi da cui queste indicazioni sono ricavate (gli originali non hanno indicazioni di scena, ma ne
accennano prima Rosencrantz e poi Polonio) non si parla né di letto né di camera da
letto: si parla invece di closet,
ovvero di gabinetto personale, di studio privato, di guardaroba. Per quanto ne
sappiamo, quindi, Amleto avrebbe potuto parlare a Gertrude comodamente seduto
su una seggiola, dietro a un tavolino, mentre la regina era intenta a fare altro. Invece la
scena a cui noi siamo abituati, che ormai ci sembra parte della rappresentazione
quanto il teschio di Yorick, si deve al
film di Laurence Olivier del '48:
Olivier la diresse avendo già in mente l'Edipo come chiave interpretativa della tragedia. Gliene aveva parlato l'amico Ernest Jones, neurologo psicanalista e discepolo di Freud.
Ora, chi
critica l'interpretazione freudiana è convinto che l'Edipo in Amleto, così come il
letto in questa scena, sia un elemento posticcio. Gli altri, che questa scena sia solo
un'esemplificazione tarda di qualcosa che sarebbe comunque stato evidente... tanto
più che il closet, la camera in cui ci si cambia,
è ugualmente una stanza privata, la cui intimità non doveva essere dissimile,
nell'immaginario dell'epoca, a quella che noi attribuiamo a una camera da
letto.
Esistono
altre critiche mosse a Freud. Una, che nel 1600 il Complesso d'Edipo non era stato ancora scoperto e quindi l'autore non avrebbe potuto inserirlo nella
sua opera. A loro rispondo (io, che non condivido questa ipotesi), e spero mi capiscano, che se la gravità è stata formalizzata da
Newton, questo non significa che la gente prima potesse camminare per aria.
L'altra, che Amleto è un personaggio immaginario, e che quindi, se non esiste un
volere dell'autore, non potrebbe aver sviluppato alcun complesso; ma una proiezione inconscia è per definizione
involontaria, e inoltre queste persone devono ignorare
qualsiasi legame che intercorra tra artista e personaggio!
UN PICCOLO CONTRIBUTO
Sempre secondo Freud, Amleto
faticherebbe a uccidere Claudio perché,
così facendo, condannerebbe senza assoluzione anche il proprio desiderio
edipico, che Claudio ha messo in atto casualmente. Mi
sembra che la cosa possa essere persino più semplice di così: Claudio e Re Amleto[1], non a caso fratelli, sono
una rappresentazione scissa della figura paterna; e in questo senso Amleto
vorrebbe uccidere Claudio, il padre castrante, ma si trattiene dal farlo fino
all'ultimo atto (la spiegazione è psicologia: narrativamente, i motivi per dar conto della sua indecisione sono altri, e almeno all'inizio riguardano il dubbio che l'apparizione di suo padre lo stia ingannando).
Perché
allora non far uccidere direttamente Re Amleto da Amleto? qualcuno si potrebbe chiedere. Un modo molto più diretto per manifestare le tensioni dell'Edipo irrisolto. C'è però da tener presente che questo, per la mentalità dell'epoca (e fortunatamente anche per
la nostra), sarebbe stato contro natura tanto quanto fare l'amore con la propria madre.
Shakespeare, filtrando il proprio Edipo attraverso gli strumenti del tempo,
per rendere accettabile la rappresentazione avrebbe dovuto spostare (un classico meccanismo
difensivo di spostamento) l'istinto
omicida su una persona prossima all'obiettivo originale, più accettabile.
E, ancora una volta, chi poteva essere più prossimo di suo fratello? [2] In questo modo Shakespeare avrebbe anche nascosto a se stesso il proprio desiderio.
Ovvio che non
si deve cadere nell'errore di immaginarlo, chino sui fogli, con le unghie sporche
d'inchiostro e gli abiti dozzinali da attore, che cerca un modo per rendere in
scena un complesso di cui neanche conosceva il nome. Tutto il processo è inconscio.
LA VERA OBIEZIONE
Pensare che Shakespeare
avesse architettato da solo questo splendido Edipo danese, da un certo punto di vista, confermerebbe la teoria di Freud. Purtroppo la
verità è che Shakespeare si è rifatto a un evento storico ben preciso: nelle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus è riportata la leggenda di un certo Amleth,
figlio del Re dello Jutland, ucciso dal fratello che, dopo averne sposato la
vedova Geruth, si dichiara anche padrone di tutti i suoi possedimenti. In seguito Amleth riesce a uccidere l'usurpatore e prende
possesso della sua eredità. Shakespeare conosceva già la Vita Amlethi, almeno nella traduzione di Belleforest: sarebbe una ben strana coincidenza, altrimenti!
Il fatto che
Shakespeare non abbia inventato l'Amleto assesta un duro colpo all'interpretazione di Freud; ma, a ben vedere, nulla ci vieta di pensare che Shakespeare avesse scelto e, in
seguito, profondamente arricchito questa leggenda proprio in virtù di quel
Complesso di Edipo di cui il fondatore della Psicanalisi lo immaginava vittima. Ma è davvero così? Forse è inutile tirare in ballo il Complesso quando, se proprio c'è bisogno di un motivo diverso dalla semplice pateticità della storia, ricordiamo che il nome di Amleth doveva aver esercitato una speciale attrazione sulla mente di Shakespeare, dato che il figlio scomparso si chiamava proprio Hamnet. Allora, che sia stato il nome del figlio ad essere stato scelto per l'eco che Shakespeare trovava nella propria storia, quando considerava la storia di Amleth? Forse. In fondo tutto è possibile. Eppure queste obiezioni, unite al ridimensionamento che il Complesso di Edipo ha subito negli ultimi anni, porterebbero, credo, a una svalutazione e probabilmente a un abbandono tout court della teoria freudiana dell'Amleto.
Mi pare sia meglio concludere qui l'articolo. Non mi resta che pregarvi, nel caso vi sia piaciuto, di condividerlo sui social (sono i pulsanti in fondo, li vedete di certo) e magari di lasciare un commento. Torneremo ancora a parlare di Shakespeare, dato che nel 2016 si celebrano i quattro secoli dalla sua morte. Stay tuned, amici del Bardo.
[1]
Il padre di Amleto porta il suo stesso nome. Il che renderà questa discussione leggermente
più difficile da seguire, per chi non conoscesse la tragedia.
[2]
È interessante notare che Claudio, dopo la morte del fratello, riceva la
corona di Danimarca nonostante l'erede diretto, Amleto, sia già adulto. La
corona, cioè il ruolo, indicherebbe così un'ulteriore identificazione tra
Claudio e Re Amleto. Storicamente si giustifica l'elemento con l'adozione di una linea ereditaria non per primogenitura ma per anzianità.
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