Il richiamo all'autorità non è così scemo

Il richiamo all'auctoritas, quel particolare procedimento per cui si può pensare "X ha detto così, lui è un'autorità in materia, quindi avrà ragione" è dileggiato, mi rendo conto, da molte, moltissime persone. E in effetti, come argumentum (ab auctoritate) si è prestato a numerosi abusi: la biologia e la fisica di Aristotele, la medicina di Galeno, la geografia e l'astrologia di Tolomeo hanno proiettato le loro ombre lunghe per un periodo fin troppo lungo, qui in Europa. Il momento - semplifico all'eccesso, so benissimo che quella scientifica è stata una... lenta rivoluzione - in cui si è detto "Non è vero solo perché X lo ha detto, le evidenze empiriche puntano da un'altra parte" è stato un momento importante per la scienza. Non rifarsi ad auctoritas significa che l'autorità può sbagliare, fosse anche la stessa Bibbia. Inutile tirare in ballo l'esempio di Galileo. 


C'è però, come dicevo, un lato oscuro anche per questa giustissima idea. L'idea che, in un argomento, l'opinione di una persona che ha dedicato la propria vita a studiare una cosa, a lavorarci, a perfezionarsi, valga come quella di uno che si è appena letto un libro divulgativo su quella cosa, è naturalmente sbagliata. Certo, la seconda persona può portare (miracolosamente) dei dati che contraddicano le tesi della prima persona, e allora sarà giustissimo analizzarli; anzi, la comunità scientifica, mettiamo, se è il caso può e deve cambiare idea sull'argomento. Ma un dato in sé non è un'informazione: è l'interpretazione di molti dati a creare una teoria. Nell'interpretazione certo che mi fido più di un Premio Nobel che di un laureando. E, forse, anche nelle misurazioni, nei dati stessi.

La cultura non è, e non può essere, un posto in cui uno vale uno. Lo studio e l'esperienza, la concordanza della comunità, sono fattori importanti con cui fare i conti. Certo non ci si ferma davanti a un'autorità contraria, anzi ci si batte per dimostrare le proprie teorie. Einstein all'inizio si era schierato contro le scoperte della fisica quantistica. Ma se io, studente di greco, mi scaglio contro un'interpretazione che Canfora dà di un passo corrotto, allora forse non è così assurdo farmi un esame di coscienza e dire che per stavolta posso fidarmi di Canfora. 

Anni fa avevo pubblicato un discorso di Ursula Le Guin su non so più quale gruppo di Facebook. Nel discorso, Le Guin definiva la scrittura "un'arte". Il gruppo era di quelli che pretendevano minor evanescenza nella critica italiana, a cui all'epoca - alla critica - pareva che tutto andasse bene, tutto fosse meraviglioso; e alcuni s'erano scagliati contro la definizione di Le Guin. Quando avevo obiettato che l'opinione di Le Guin qualcosa doveva pur contare, mi era stata propinata una lezioncina sul richiamo all'auctoritas, che neanche ai tempi del liceo, come per liquidare la cosa. Ora, l'opinione di una donna che ha lavorato tutta la vita nel mondo della scrittura, che è assurta ai massimi onori della professione, che ha contribuito a creare il concetto di fantasy e fantascienza come li conosciamo, amata dalla critica (ben più severa di quella italiana) e dal pubblico, e riconosciuta anche all'interno di quel gruppo come una delle maggiori scrittrici di fantascienza del secolo, valga quanto quella di un anonimo commentatore su FB, e che se qualcuno si appoggia a quell'opinione allora si richiama all'auctoritas; be', in tutto questo direi che c'è qualcosa che non va, l'esasperazione di un concetto utile che ormai è interpretato come "L'opinione di chiunque vale come quella di un esperto".

... chi ha parlato di COVID e no-vax?

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