Filosofia medievale be like: Effetto senza causa

Siamo alla fine del nostro percorso nei meandri della filosofia medievale. Oggi prendiamo in considerazione ciò che si chiama il principio di causalità, e come certi filosofi lo misero in dubbio, per la nostra gioia. 


HUME, L'EPIGONO
Se a un evento A segue un evento B siamo portati a ipotizzare che A causi B. Sappiamo già che Hume ha affermato che questo ragionamento, per quanto comprovato a posteriori dall'esperienza, non può configurarsi come legge generale. Hume, cioè, nega che la causalità sia qualcosa di sempre vero. Facendo un esempio, se faccio cadere il mio smartphone e, quando lo raccolgo, vedo che ha lo schermo rotto, per Hume non potrò essere sicuro che la caduta sia stata la causa della rottura; potrò solo sapere che le due cose sono successe una dopo l'altra. Il resto sono tutt'al più ipotesi basate sulla speculazione.
Per quanto possa parere radicale questa affermazione, alcuni filosofi medievali la anticiparono. Il che è tanto più straordinario, perché la filosofia medievale che prendo in considerazione (a parte, naturalmente, Agostino e, in questo articolo, Pier Damiani) è pesantemente influenzata da Aristotele: e per Aristotele l'idea di causalità è una di quelle fondanti la filosofia.


SOLO ALLAH SA TUTTE LE COSE
L'uomo che noi chiamiamo Avicenna, medico e filosofo, fu uno dei grandi commentatori di Aristotele prima che Aristotele arrivasse in occidente. Certo, però, il suo era un Aristotele pesantemente macchiato di neoplatonismo. 
Avicenna, che, come tutti gli appartenenti ai popoli del Libro, era particolarmente interessato alla metafisica, decise di organizzare l'argomento della materia già discussa da Aristotele. Il libro di Aristotele Metafisica è in realtà una raccolta di trattati più o meno indipendenti, e come tale presenta varie definizioni di "metafisica". Una di queste è "la scienza delle cause in quanto tali"; un'altra "la scienza dell'ente in quanto ente e del suo significato principale, la sostanza". Avicenna, come farà poi Tommaso, propendeva per la seconda, e dato che il soggetto primo può essere uno soltanto, si ingegnò a smontare le altre. La metafisica non può essere scienza delle cause: nessuna scienza, infatti, ci fornisce una dimostrazione del principio di causalità, né possiamo dire che esso sia evidente di per sé (e il soggetto primo di una scienza dev'essere o evidente di per sé o dimostrato altrove). Non dobbiamo infatti confondere il rapporto di concomitanza o di successione con quello di causalità. Proprio come avrebbe detto Hume.
Naturalmente, Avicenna non nega la causalità in generale; nega che possa essere il soggetto primo della metafisica. Ma una causa delle cose c'è, e andando a ritroso per le cause si arriva fino a Dio. 
Ora, qui c'è un altro intoppo: come avevo anticipato, Avicenna macchia Aristotele di neoplatonismo, e infatti la sua teoria della creazione è una teoria tipicamente emanazionista. Da Dio, per emanazione, fluisce la Prima Intelligenza, da cui fluisce la seconda e così via fino alla decima; e solo la decima si occupa delle forme del mondo sublunare (cioè, è solo la Decima Intelligenza, se volete il decimo angelo o il decimo spirito nato da Dio, ad essere responsabile per noi). Ciò significa che, per Avicenna, Dio non agisce direttamente su di noi, ma solo attraverso la mediazione di dieci intelligenze.
Naturalmente questa dottrina è contraria alla rivelazione, perciò molti musulmani la negarono. Tra questi Al-Ghazali, l'autore dell'Incoerenza dei filosofi. Nel tentativo di negare ogni mediazione tra Dio e il mondo, questo teologo giunse a una conclusione di una bellezza abbacinante. Al-Ghazali sostenne che non esistono cause al di fuori di Dio; che Dio interviene costantemente nel mondo per causare gli effetti che noi ascriviamo ad altre cause, stando attento che ogni "causa" ed "effetto" siano ben ordinati. Nel tentativo di sbugiardare Avicenna, quindi, Al-Ghazali ha trasformato il nostro mondo in un miracolo continuo, pieno di un Dio operoso ed essenziale, in una incessante attestazione della potenza divina.


COME A ORIENTE, ANCHE IN OCCIDENTE
E in occidente? In occidente alcune cose si sono mosse nella stessa direzione, ma mai in maniera così radicale. 
Con la condanna del 1277 di 219 tesi ad opera di Etiènne Tempier, vescovo di Parigi, molti dei presupposti dell'aristotelismo scolastico vennero sconfessati. Tra questi, la necessità del mondo così com'è. Dio ha una potenza assoluta, e non solo una potenza ordinata nel nostro mondo: nulla gli è impossibile. La causalità lo legherebbe, ma questo è un non-senso, perché Dio è assolutamente libero (questo, ad esempio, è quello che sostiene Guglielmo da Baskerville nel Nome della Rosa). Ora, a partire da questa dottrina possiamo seguire diverse derive: una è che, per decisione divina, in ogni momento il principio di causalità potrebbe smettere di funzionare, e il mondo potrebbe essere diverso da quello che è; un'altra, che Dio avrebbe sì potuto creare le cose diversamente, senza ad esempio il principio di causalità, ma ciò non è avvenuto ed è assurdo pensare che Dio possa cambiare idea in corso d'opera (questa è la posizione, ad esempio, di Guglielmo da Ockham; che però, secondo me, sottintende che noi conosciamo bene i piani di Dio).
Ma non dobbiamo aspettare tanto per dire che Dio ignora la causa/effetto, e che, perciò, il principio di causalità non può essere generalizzato. Nell'XI secolo il monaco e, in seguito, Santo Pier Damiani, peraltro fine logico, afferma addirittura che Dio non sottostà al principio di non-contraddizione (che gli scolastici porranno come invalicabile persino per lui). Nel suo trattato Sull'onnipotenza divina, scrive:
[La potenza divina] distrugge gli agguerriti sillogismi dei dialettici e le loro astuzie, e confonde quegli argomenti di tutti i filosofi che a loro giudizio sembrano oramai necessari e incontestabili. [...] che cosa c'è che Dio non possa rovesciare, contro l'ordine proprio della natura stessa e contro i fondamenti dell'esistenza?
Se risaliamo ancora, tra il IV e il V secolo incontriamo infine Agostino. Lo avevamo già visto quando ha eluso la questione sul tempo: e ora lo ritroviamo, che, da gran furbone qual è, elude anche quella sulla causalità. Secondo lui, infatti, non esistono miracoli in senso stretto; quando Dio ha creato il mondo lo ha creato immettendovi delle rationes seminales, un concetto ereditato dai greci, cioè i principi attraverso cui ogni cosa succede e ogni essere vivente si sviluppa. Ma, secondo Agostino, Dio non li ha attivati tutti durante la creazione; ne tiene alcuni da parte, da attivare di volta in volta quando vuole intervenire nel mondo; perciò, per lui, i miracoli non sono affatto diversi dalle leggi di natura, e quindi le "regole" che, tra le altre cose, fanno rispettare il principio di causalità sono le stesse attraverso cui si dipanano i miracoli*.


CONCLUSIONI
Ora non è più la filosofia, bensì la fisica subatomica a interrogarsi sul principio di causalità; ed è la psicologia ad interrogarsi sul modo in cui noi lo percepiamo. Eppure questo è l'humus vivo da cui noi contemporanei traiamo le nostre teorie.
Il mio scopo, quando ho iniziato questa breve rubrica sulla filosofia medievale, era di mostrarvi come la mente umana possa far nascere delle metafisiche dense di meraviglia. E mostrarvi la meraviglia della filosofia, che oggi si è spinta verso orizzonti difficilmente immaginabili... se non fossero stati costruiti sulle spalle di questi giganti. 


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*A onor del vero, nel De Genesis ad litteram sembra che Agostino parli di rationes seminales più da un punto di vista di causalità biologica; ma nulla ci impedisce di generalizzare la sua filosofia, perlomeno in questo articolo.



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