In difesa del politicamente corretto

Ci sono due modi di intendere il politicamente corretto. Ora, questo articolo forse non convincerà nessuno, ma mi sono talmente rotto di sentire alla radio, alla televisione, da chiunque goda di un privilegio o si senta in qualche modo legato, anche in buona fede, ai gruppi privilegiati, che il "politicamente corretto" sta uccidendo la nostra creatività, il nostro umorismo, il nostro diritto di pensiero e parola, che lo devo scrivere perlomeno per sfogarmi. "Una dittatura", la chiamano. Fortunatamente sappiamo - ci ricordiamo - che le dittature sono diverse.


Dicevo che ci sono due modi di intendere il politicamente corretto. Uno è il corretto politicamente, cioè quella brutta abitudine diffusa soprattutto tra... i politici, di parlare per non scontentare nessuno, per non prestare il fianco a critiche che farebbero presa persino su una parte del loro elettorato, per dissimulare all'infinito e, insomma, per dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Un buon esempio di discorso corretto politicamente viene poco sorprendentemente dal campione degli oppressi, che si batte ogni giorno contro quello che lui definisce "politicamente corretto", e cioè Matteo Salvini. Corrado Augias, uno dei pochi giornalisti seri di questo Paese sconsolato, lo incalza con semplici domande, a cui Salvini non può rispondere, e infatti risponde ad altre domande che non gli sono state poste, che s'inventa. Se rispondesse davvero, o cadrebbe in contraddizione con ciò che dice o presterebbe il fianco a critiche che persino il suo elettorato (non tutto, ma una parte significativa) troverebbe imbarazzanti. Ecco il video:


Questo atteggiamento è naturalmente disgustoso, ed è altrettanto ovviamente condannabile. Ma di solito non lo si inserisce in ciò che si intende per "politicamente corretto".

"Politicamente corretto" significa, nella sua seconda accezione, corretto moralmente - solo che fa più rebel dire che è una questione di politica, e non di morale; e anche più comodo, perché rassicura tutti i nostri peggiori istinti. Per fare degli esempi, in questo senso p.c. significa forzare l'aumento di figure femminili nel mondo della politica e dell'arte. Significa censurare, per quel poco che riusciamo, i pensieri razzisti e totalitari. Significa riflettere sulle ingiustizie del mondo e magari provare a riequilibrarle, dando vantaggi a quelle categorie che fino a ieri avevano solo svantaggi, anche se quelle altre categorie, quelle che fino a ieri avevano ogni sorta di vantaggio tutto per sé, si lamentano dell'ingiustizia di ciò, dicendo che - molto comodo da parte loro - bisogna solo dare una passata di spugna al passato e ricominciare daccapo; e guai a creare programmi di aiuti per le minoranze finora svantaggiate, significherebbe discriminare loro. Significa anche dire a un nazista che è un nazista, e magari dirgli pure di chiudere il becco. Significa insomma tante cose, e nessuna di queste a me pare negativa. La legge contro l'omofobia non è il trionfo della "dittatura del politicamente corretto" ("Io voglio avere la libertà di dire che un bambino ha bisogno di un uomo e di una donna per crescere bene anche se non ho assolutamente idea se sia vero, weee"): è solo la scoperta, un po' tardiva, del legislatore, che esistono categorie discriminate per motivi per cui non dovrebbero essere discriminate, e in particolare per la preferenza sessuale, e quindi il tentativo di porre rimedio a questa ingiustizia.

Affermare che non puoi dire "A me i negri fanno schifo" o "Secondo me gli ebrei hanno inventato il COVID", o che non puoi più fare battute sui finocchi, sulle lesbiche o sulle "troie", non è togliere la tua libertà di parola, di pensiero o di satira. In realtà è cercare di impedire che la società sia razzista, sessista o più semplicemente imbecille; tre cose che la maggior parte delle persone considerano, se glielo chiedi, negative. Queste stesse persone però, se chiedi la loro opinione sul politicamente corretto, sbaveranno dalla bocca. 


Ci sono dei rischi? Per carità, che qualcuno del governo dica cosa è morale e cosa no, e che per lui morale sia lasciar morire gli immigrati sui barconi prima che arrivino in Italia. Insomma, che il p.c. diventi davvero un'arma di controllo del linguaggio e quindi del pensiero, come quella che peraltro la Chiesa ha esercitato per diciassette secoli in Europa (solo che allora non si chiamava "politicamente corretto", quindi non credo di doverne parlare in questa sede). Questo è un pericolo, dicevo, che per ora è scongiurato dal fatto che la sfera governativa e la sfera privata si equilibrano vicendevolmente nella gestione della cosa pubblica. E il fatto che, in caso di derive mostruose (che però io non vedo così imminente), possiamo alzare la nostra voce. Perché non è vero che questa è una dittatura. Altrimenti non sentiremmo tanti imbecilli dire che lo è. Nessuno attenta alla libertà di parola o di pensiero per controllare la tua mente: il complesso stratificato di significati e legislazioni e comportamenti che chiamiamo "politicamente corretto" ci tiene solo a farti notare che ci sono delle conseguenze - a volte terribilmente brutte, a volte semplicemente reazionarie - alle tue parole (figurati alle tue azioni), e che se non sei capace di capirlo da te, forse è il caso che qualcuno lo capisca per te.

Francamente, poi, a me sembra che aumentare l'inclusività nelle arti sia tutto di guadagnato - e non, come sbraitano certi cosiddetti amanti dei film o dei fumetti, una violenza. Aumentiamo i personaggi a cui attingere, le storie da rappresentare, le vite, i pensieri! 

Non è neppure vero che così facendo si eliminano i riferimenti al razzismo e al sessismo (alcuni, davvero geniali, dicono che il politicamente corretto è sbagliato perché "nasconderebbe" il marcio della società): chiunque può vedere che si continuano a sfornare film e fumetti e libri e opere d'arte che descrivono razzismo, sessismo e ogni sorta di crudeltà. E anche quella balla, che i vecchi film "razzisti" vengono distrutti, si è rivelata una fake news messa in giro da chi ci gode a indignarsi. Via col vento non è stato tolto dalle cineteche online; è solo stato aggiunto un disclaimer (due video, in particolare), a inizio film, in cui viene precisato il contesto storico della pellicola. Il che, ironicamente, è proprio quello che chiedevano i detrattori del politicamente corretto ("Dobbiamo considerare il contesto storico!").


Anche, l'umorismo messo in pericolo dal politicamente corretto. Insomma, non posso più scherzare sulle razze, sulle donne, sugli stupri, sulla pedofilia: cosa mi resta da raccontare? A questi signori comici ricordo che la satira va in un solo senso: da un gruppo svantaggiato verso un gruppo avvantaggiato. Altrimenti non è satira, è bullismo. Puoi scherzare su queste cose solo se il tuo intento è sensibilizzare il pubblico, o farlo riflettere; non certo perché ti va di farti due risate pensando a quanto siano assurdi gli africani che sono pure froci e ti stuprano lol.

...

La cosa più sensazionale del "nostro" p.c., al contrario di quello "del passato" (di nuovo, diamo per scontato che ciò che nel passato era la pressione morale della Chiesa, del Partito ecc., oggi possiamo definirlo "politicamente corretto", ma questa si vedrà che è una falsa equivalenza) è che, mentre nel passato esso veniva imposto dall'alto, oggi viene dal basso. Qui è il nodo che tanti malpensanti si rifiutano di riconoscere. I detrattori del p.c., infatti, propongono una visione molto tendenziosa della situazione: affermano che esso è imposto - per motivi economici? o per complotti ben più oscuri? - dalla grande industria dei media americani e che, grazie all'egemonia culturale americana, si sparga a macchia d'olio su tutto il mondo. Ma dimenticano una cosa fondamentale: non sono i grandi media il punto di partenza della rivoluzione "inclusivista". Sono in realtà le fasce più progressiste del popolo americano, che trovano eco e terreno fertile nelle fasce progressiste del resto del mondo, ad aver esercitato una lenta e lunghissima pressione (con vere e proprie battaglie, perché i media, loro sì manovrati dall'alto, volevano resistere al cambiamento; battaglie combattute per decenni a suon di manifestazioni e articoli e pride) a esercitare una pressione sull'industria dei media perché si sensibilizzasse a temi quali la giustizia sociale, l'uguaglianza, il rispetto del diverso. 

Insomma, in conclusione a me sembra che la cosiddetta "censura del libero pensiero" si possa tradurre come un aumento della sensibilità per la situazione difficile delle minoranze (sessuali, economiche, di genere, di "razza", di cultura...). Forse a chiamarla così, i suoi detrattori avrebbero un po' più di vergogna a combatterla. In questo contesto storico il politicamente corretto è una forza positiva di cambiamento: non mi stupisco che i custodi del vecchio ordine mondiale (lol) vi si oppongano con tutte le loro forze. Non hanno interesse a vederla come tale. Non l'hanno mai avuto, con tutte le altre forze di cambiamento sue pari.

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