La necessità dei complotti


Prima di iniziare l'articolo su complotti e complottismi, serve forse che io dichiari la mia posizione in proposito, perché tutto il discorso, per quanto mi sforzi di renderlo conforme al mito dell'obiettività, sarà direzionato da questa posizione.
Io credo nei complotti. Chi non ci crede è un idiota o un hipster. Cosa peraltro facilissima da dimostrare. Esemplificando, la struttura stessa della Mafia (e chi nega l'esistenza della Mafia è peggio di qualsiasi idiota o di qualsiasi hipster) si basa sul complotto, nel senso di ordire piani segreti al di fuori della legge per assoggettare persone non consenzienti. D'altra parte ogni rivoluzione, prima di essere una rivoluzione, è stata un complotto; e l'Italia è nata giustappunto dopo decenni di complotti carbonari che ne hanno preparato l'unificazione. Al giorno d'oggi il mondo dev'essere pieno di segreti e complotti, altrimenti non si spiegherebbe l'esistenza dei Servizi Segreti (una prova debole, che rischia la petizione di principio, ma che nel mucchio fa spessore, certo con le dovute precisazioni). Insomma, i complotti esistono, punto.
Qui sta il busillis. Il fatto stesso che, per natura, i complotti cerchino di rimanere segreti, favorisce notevoli fantasticherie. I complottisti sono coloro che vedono complotti là dove essi non esistono, e dove anzi a un'attenta analisi sembrerebbe impossibile che esistano. Ora, cos'è che distingue un complottista da una persona semplicemente consapevole dell'esistenza dei complotti? Credo che i punti da tenere a mente siano soprattutto tre:

(1) L'universalità e la pervasività del complotto. Il complottista medio tende a generalizzare, e si sente tanto più soddisfatto quanto più il suo complotto spiega il mondo in cui ci troviamo. Come i filosofi medievali, il complottista riduce a uno; solo che quell'Uno non è più Dio ma gli Illuminati, o il Nuovo Ordine Mondiale, o il Gruppo Bilderberg, che poi sono tre nomi per dire la stessa cosa. Già Popper, del resto, osservava il legame tra religione - e questo fin da Omero -, caduta delle certezze religiose e complottismo. Ora che Dio non c'è, qualcuno dobbiamo pur mettere in mezzo per spiegare ciò che succede nel mondo. Insomma, l'aumento dei flussi migratori, l'omosessualità, la crisi economica e il fatto che non abbia ancora superato il concorso per diventare infermiere sono tutti dati di realtà che hanno dietro un'unica diabolica motivazione. E quale essa sia è meno importante del fatto che qualcuno complotti per perseguirla.
Alan Moore ha dichiarato che al complottismo medio rimprovera il monofisismo. A lui il mondo sembra troppo caotico per spiegarlo con un unico complotto. Del resto Moore è un noto neopagano, e, come venera molti dèi, così gli vien facile credere in numerosi complotti: cosa che probabilmente si avvicina di più alla realtà.

(2) L'onnipotenza del complotto. Come Dio, anche chi si cela dietro i complotti deve essere onnipotente o poco meno. Non c'è luogo dove le sue dita non arrivino. Lo si può dimostrare suppergiù matematicamente, more geometrico: il mondo è un'accozzaglia quasi infinita di accidenti, perciò serve una competenza quasi infinita per poterli architettare tutti.
Dicevo che io credo nei complotti, ed è vero. Credo ad esempio che le Case Farmaceutiche non siano enti di beneficenza, e che siano tentate di manipolare ricerche e risultati per aumentare il profitto. Del resto, tutto il sistema sanitario americano è incentrato sul profitto economico. Non c'è nulla di irregolare in questo. Ma so anche che esistono strutture il cui scopo è prevenire e, nel caso, punire questi comportamenti quando mettono in pericolo la salute, se non la vita, dei cittadini. Il complottista non lo sa: anzi, crede che, se esse poi esistono, siano conniventi del complotto. In che modo poi Big Pharma possa tenere insieme un complotto che richiede la collaborazione di migliaia di persone, molte delle quali magari nostre vicine di casa, senza che nessuno la denunci o perlomeno abbia scrupoli di coscienza, si spiega di nuovo con la presunta onnipotenza del complotto, che sa dove corrompere, dove minacciare, dove creare un clima di assoluta omertà, come neanche la Mafia, che almeno ha nello Stato un nemico dichiarato, per quanto imperfetto.

(3) La soddisfazione del complotto. Ecco, questa è la cosa più bella del complottismo, ed è il fatto che consola. Il complotto consola due volte: la prima, quando capisci che le cose nella tua vita vanno male non per colpa tua, ma di qualcuno che vuole attivamente la tua rovina. Quindi sei legittimato ad arrabbiarti (e dove c'è abbastanza rabbia, lo sappiamo, la disperazione tace), e anche a sperare che, una volta abbattuto questo mostro tentacolare che passa i pomeriggi ad architettare mali, riceverai in eredità quel paradiso terrestre che ti avevano promesso da ragazzo. Insomma, per salvare il mondo non serve rimboccarsi le maniche e, Dio non voglia, sacrificare il nostro insostenibile stile di vita: basta prendere a pugni i supercriminali, come tanti novelli Superman. Ho sempre sentito che la semplificazione sia una delle attrattive principali del complottismo.
La seconda volta che il complottismo ti consola è perché ti dà la sensazione di aver scoperto la chiave segreta dell'universo. Come specie cerchiamo un senso in ogni cosa, ed ecco che all'improvviso tutto acquista significato. Che soddisfazione pensare a quelli che non l'hanno ancora scoperta! A quelli che si affannano a studiare la geopolitica mondiale, quando basterebbe capire che tutto ciò che accade accade perché ad Agartha i Segreti Maestri progettano l'estinzione dell'uomo europeo! E per saperlo bastano cinque minuti su internet. Così chiunque, anche in assenza di studi specialistici, può interpretare il mondo con estrema esattezza (senza offesa, io son psicologo quindi figuratevi).


Quindi, cos'è il complottismo? Da un punto di vista strettamente psicologico è sopravvalutare l'agenticità delle forze in campo fino al punto da inventarne di inesistenti. Fatto storico o leggenda che sia, si dice che Metternich, saputo che l'ambasciatore russo era morto, si è chiesto quali fossero le sue motivazioni.
Politicamente sono spesso le dittature che cadono nell'errore del complottismo (famoso il caso di Stalin, sebbene anche nella democraticissima America siano nati personaggi del calibro di Joseph McCarthy e J. Edgar Hoover), e vedono un nemico in ogni ombra, instancabile, sempre pronto a tramare contro di loro; o, in un caso notissimo fin dalla scuola, le rivoluzioni.
Haim Burstin sostiene che uno dei meccanismi tipici del periodo post-14 luglio, fino alla caduta di Robespierre e anzi molto oltre, fosse il passaggio psicologico dall'universo dell'oggettivo all'universo del soggettivo: ecco quindi che ostacoli causati da forze naturali e/o antropiche incontrollabili vengono interpretati come iniziative di facinorosi, o che lo stato di anarchia dovuto alla caduta delle gerarchie o semplicemente al gran cambiamento in atto è considerato un vero e proprio tentativo di controrivoluzione*. Ecco insomma che la Rivolta Vandeana diventa una cieca reazione di coloro che, per ignoranza o malafede, non comprendono la grandezza di quello che la Convenzione sta facendo a Parigi.


C'è un altro aspetto psicologico del complottismo, che è la sua parentela con i deliri paranoici. Non riuscendo il paranoico a "tenere" (o a sopportare, se preferite) il "male" che naturalmente tutti noi abbiamo dentro, le forze distruttive, i sentimenti negativi, ecco che li proietta fuori di sé, e all'improvviso gli pare che tutto il male venga dall'esterno, e sia un attentato alla sua propria integrità psicofisica. Il complottista (o, come lo definirebbe Hofstadter, il paranoico sociale) compie più o meno lo stesso percorso, con la differenza che la sua paranoia non riguarda se stesso come individuo bensì tutto il proprio gruppo sociale. Ed è una verità auto-evidente che i complottisti ritengano spesso possibili complotti motivati da impulsi che però muovono in primis loro stessi. Id est, una persona avida crederà che tutte le altre siano corrotte o potenzialmente corrotte, ben oltre i limiti ove questa supposizione incontra l'avvallo della realtà. Il meccanismo di difesa qui in atto è detto di proiezione, nel caso di un paranoico; ma anche tralasciando questi psicologismi è vero che siamo portati a interpretare le azioni altrui inquadrandole attraverso i nostri schemi mentali. Quindi, in altre parole, "dimmi in che complotto credi e ti dirò chi sei".

La letteratura sui complottismi è vasta e, in genere, molto divertente. Non è divertente però pensare a tutte le persone che ai complotti mondiali credono. Sono superstizioni che traggono la propria forza da verità inattaccabili, e si ripete qui quello che dicevamo in un vecchio articolo a proposito dell'Oroscopo.
Non c'è una cura sociale per il delirio complottistico che non passi attraverso l'istruzione. Dico che la scuola non dovrebbe solo trasmetterci una quantità di informazioni anedottiche, ma anche formarci per comprendere quali, tra quelle che incontreremo nella nostra vita, siano vere e quali false, quali probabili o quali semplici vaneggianti. Ne parlava già Russell, ne parlava già Eco. Un corso del genere servirebbe alle Medie e alle Superiori.
Ciò detto, anche se tutto dovesse andare come dovrebbe andare, rimane il dubbio che la necessità del complotto, sia esso secolare o teistico, sia connaturata alla natura umana, alla sua continua ricerca di spiegazioni e rassicurazioni. E, quindi, alla fine dei conti inestirpabile.
Altro che vaccini.

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(Per ora.)


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*La tendenza era già presente nelle società di ancien régime, quando a ogni carestia si rispondeva dando la colpa a un complotto aristocratico per affamare il popolo, esagerando quindi strategie economiche tutt'affatto che inventate. L'incetta del grano, o del pane, da parte di speculatori, in concomitanza con le carestie, è sempre stato un problema reale.

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