Filosofia medievale be like: "Io sono"

VI AVVERTO
Da oggi e per tre settimane pubblicherò alcuni brevi articoli su certe questioni di filosofia medievale. Si inizia oggi col tema dell'essere*; settimana prossima proseguiremo con quello del tempo, e infine il rapporto causa-effetto. Direi che è una tripartizione in onore della Trinità, se mi sentissi particolarmente... scolastico. E naturalmente lo farò un po' alla cazzona, un po' ad personam, cercando di collegare insieme più concetti alla maniera del blog, cosicché alla fine non ne saprete molto più di prima in termini quantitativi, ma spero almeno che avrete acquisito un nuovo punto di vista, magari persino sulla filosofia medievale, se non l'avete mai frequentata troppo.


ESODO
Gilson afferma che, rispetto alla filosofia pagana, quella cristiana (e in particolare quella tomistica - ma, per Pasquale Porro, in realtà questa scoperta è da predatare fin perlomeno ad Agostino) è l'unica che possa fare il passaggio e identificare il concetto di Dio col concetto di essere. Questo perché i pagani non hanno ricevuto la rivelazione, ed è solo nella rivelazione, in particolare nella Bibbia (Esodo 3,14**), che Dio afferma di "essere colui che è". Gilson è piuttosto impreciso, dato che già un Platone, allievo in questo di Parmenide - vi ricordate? quello dell'essere è e non può non essere -, aveva associato l'essere all'Uno; cosa che poi sarà momentaneamente messa da parte da Plotino (il principale esponente, per l'appunto, del neoplatonismo), che pone l'Uno al di sopra dell'essere stesso; ma che venne altresì prontamente ripresa dal suo allievo Porfirio, com'è probabile, nel Parmenide. Tutto questo per dire "Nulla di nuovo sotto il Sole".
Ora, la filosofia di Tommaso, il Doctor Angelicus, è spesso confusa e non raramente contraddittoria (mi riferisco soprattutto alla sua filosofia dell'essere), pure tenendo conto della fisiologica evoluzione di un pensiero che, per quanto possano ritenere alcuni, non ha mai inteso essere sistematico. Questo perché capita che Tommaso preferisca al rigore filosofico il puro accumulo di citazioni e argomenti. Epperò, ciò ammesso, c'è una concezione nel De ente et essentia che, pur se per certi aspetti contraddittoria, è relativamente limpida: per l'appunto che in Dio l'essenza (diciamo, facendo un po' di violenza alla definizione, la natura più profonda, ma in Dio anche la natura nella sua completezza) e l'essere coincidano***. Dio è essere puro, l'essere sussistente, anche se certo non corrisponde al concetto di essere, soprattutto all'essere delle creature, il cui essere è diverso dal suo, anche se non è chiaro se sia una differenza sostanziale o solo una differenza nella relazione****. Ma per una totale univocità del concetto di essere tra creatore e creature dovremmo aspettare Giovanni Duns Scoto. E se siete confusi, tranquilli: sono secoli che i filosofi si chiedono esattamente cosa significa.
Comunque, se ha ragione Gilson, questa intuizione Tommaso la ricava dall'Esodo. Ciò che in latino è tradotto con Ego sum qui sum e, letteralmente, in italiano, con "Io sono colui che sono", nella tradizione ebraica è uno dei Sette Nomi di Dio (Ehyeh Asher Ehye), e, come tale, al centro di molta mistica e filosofia ebraica. Ad esempio, lo stesso Mosè Maimonide, nella sua fondamentale Guida dei Perplessi, non sembra discostarsi troppo dalla riflessione che, una generazione dopo, avrebbe fatto Tommaso: anche lui associa Dio all'essere, sebbene non con le stesse conseguenze dell'aquinate, a meno che io abbia mal interpretato le sue intenzioni.


L'INDIVIDUAZIONE DI DIO
Ora, che da questo "Io sono colui che sono" Agostino, Maimonide e Tommaso possano trarre queste conclusioni, mi ha molto stupito. Questo perché, fin da piccolo, io ho interpretato la descrizione che Dio fornisce di se stesso non come la prova o l'indizio dell'identità tra Dio e l'essere puro (Dio è l'essere, inteso anche come fonte dell'essere delle creature), che mi pare piuttosto lontana da una qualunque realtà divina (che deve essere, sì, semplice, ma sotto la specie della complicanza). Io invece leggevo tra quelle parole la verità mistica che Dio, al contrario dell'uomo, è ciò che realmente è; è lui e solo lui; non è altro da se stesso. Da ciò, adesso che sono adulto e come tutti ho letto il mio Nietzsche, potrei anche ricavare la conseguenza che il suo volere e la Necessità coincidono; non nel senso che egli vuole ciò che è necessario o che ciò che vuole è necessario, ma nel senso che i due concetti - di per sé indipendenti - in lui siano arrivati a corrispondere perfettamente. 
Comunque sia, forse proprio per questa idea intuitiva che ebbi da piccolo, da psicologo sono sempre stato attratto dal percorso junghiano dell'individuazione. Per individuazione junghiana si intende quel processo di avvicinamento tra il Sé e l'Io che, attraverso l'integrazione progressiva di materiale conscio e inconscio (reso più conscio dallo studio dei simboli) ci renderebbe, non dico completi, ma perlomeno autentici da un punto di vista psicologico e ontologico. In effetti ho sempre pensato all'essere ciò che realmente si è, che è lo scopo del processo psicoterapeutico di individuazione, come al percorso di Dio (lo dico da ateo, quindi nulla di soprannaturale nel mio pensiero; ricordiamoci anche che la religione ebraica, nella sua originalità, era una religione del tutto immanente). E ora sta a voi rispondere: ha vaneggiato più Tommaso, nell'interpretazione dell"Io sono", o ho vaneggiato più io?




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*Un tema, tra l'altro, che avevo già affrontato da maschio medio medievale quale sono, e se non vi ricordate guardate qui.
**Mi stupisce che qualche complottista della domenica, di quelli che affermano che nelle piramidi sia espressa la distanza tra la Terra e il Sole e chissà cos'altro, non se ne sia venuto fuori osservando che, guardacaso, quella che è senza dubbio la frase più importante dell'Antico Testamento è riportata, nelle nostre Bibbie, nel versetto numerato come l'approssimazione più diffusa del pi greco, quel numero irrazionale che sembra una delle chiavi armoniche del cosmo.
***Sebbene nel più tardo Commento al De Trinitate di Boezio, Tommaso affermi che per noi è impossibile conoscere l'essenza di Dio, ma solo la sua esistenza
****Se la prima sembra contraddire lo stesso procedimento (filosofico, non teologico, di cui però qui non parlo) per cui Dio viene identificato con l'essere, la seconda sembra contraddire il rapporto di analogia affermato da Tommaso tra Dio e il proprio essere e le creature e il loro essere.

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