Frammenti di letteratura da New York


Staring at the flames of the woodstove fire
guarded by its glass door, I'm trying to remember
what I'm good at - surprised when it occurs to me
I'm good at making this fire out of kindling
I've split, plus one piece of fir and two of oak, cut
from the large branches of the neighbot's oak
that fell across the road two years ago
on a winter evening [...]

Mentre fisso le fiamme della stufa a legna
protetto dalla sua porta di vetro, cerco di ricordare
in cosa sono bravo - sorpreso quando mi viene in mente
che sono bravo ad accendere questo fuoco coi ceppi da ardere
che avevo spaccato, più un pezzo di abete e due di quercia, tagliati
dai grossi rami della quercia del vicino
che cadde sulla strada due anni fa
in una serata d'inverno [...]

Questi sono i primi otto verso di una poesia pubblicata sul numero del New Yorker del 23 dicembre scorso. A mio parere sono perfetti. L'autrice è Maxine Scates. Le altre quattro strofe e mezza sono brillanti, ma niente di più: queste sono assolutamente perfette. Degne di finire nell'antologia col meglio del 2019.

Nello stesso numero del New Yorker, Peter Schjedahl, critico della rivista dal 1998, pubblica un articolo autobiografico. In questi giorni Schjedahl sta morendo di cancro. Ai polmoni. Il suo è un pezzo commovente, ma pecca appena nel cercare nel particolare della sua vita l'universale di tutte le vite, e nello sforzarsi di trovare momenti di bellezza che giustifichino un'esistenza dedicata all'arte. Peccati che sono facilmente perdonabili in una persona che sta morendo. Tuttavia ci sono due momenti, nel suo articolo, che suonano più veri, più sinceri di tutti gli altri, e sono quei momenti, come di solito avviene quando ci si cimenta nell'autobiografia in prosa, in cui parla d'altri. Il primo:
The most delicious poem about someone dying is Auden's "In Memory of W.B. Yeats" (1939), whith these lines:
But for him it was his last afternoon as himself,

An afternoon of nurses and rumours;

The provinces of his body revolted,
The squares of his mind were empty,
Silence invaded the suburbs,
The current of his feeling failed; he became his admirers,

The poet Ron Padgett pointed out to me the technical shrewdness of the use of a semicolon in place of a line break. Then there's the sterling "became": nothing is left of Yeats but others' thoughts of him, and the thoughts of him enhance the others [...].

La più squisita poesia riguardo qualcuno che stia morendo è "In memoria di W.B. Yeats" di Auden (1939), che contiene questi versi:
Ma per lui fu il suo ultimo pomeriggio come se stesso,
Un pomeriggio di infermieri e rumori;

Le province del suo corpo si rivoltarono,
Le losanghe della sua mente erano vuote,
Il silenzio invase i sobborghi,
Il filo delle sue emozioni si interruppe; divenne i suoi ammiratori.

Il poeta Ron Padgett mi ha fatto notare l'accortezza tecnica di usare un punto e virgola al posto di un a capo. Poi c'è quel puro "divenne": niente rimane di Yeats tranne i pensieri che gli altri hanno di lui, e i pensieri di lui arricchiscono, accrescono gli altri [...].
Non voglio dire altro oltre al fatto che ho dovuto trattenere le lacrime. Il secondo:
Shakespeare wrote of "desiring this man's art and that man's scope." I find this comforting. But who was he thinking of? Marlowe? Someone forgotten although evidently fucking incredible?

Shakespeare scrisse "invidiando a quest'uomo l'arte e a quell'uomo il potere." Lo trovo confortante. Ma a chi stava pensando? Marlowe? Qualcheduno di dimenticato e tuttavia evidentemente incredibile, cazzo?
Un lettore - almeno, quel tipo di lettore che mi assomiglia - prova una certa pudicizia, un certo senso di disagio quando legge la vita di un uomo raccontata da lui stesso, almeno in prosa. Al contrario, possiamo usare la scusa di parlare di altri quando in realtà parliamo di noi, e niente di tutto ciò è imbarazzante. Borges disse che avrebbe preferito essere ricordato per i libri che ha letto, che per quelli che ha scritto. Credo avesse ragione.
Rimpiango che in Italia non esista una rivista come il New Yorker. Forse la cosa che più le si avvicina è la meritoria Nuovi Argomenti, che però esce ogni tre mesi, senza le rubriche di critica "in tempo reale", e con la forma ipertrofica di un volume di qualche centinaio di pagine. Forse allora linus, seppur spostato sul versante del fumetto. Insomma, si sente, dico la verità, la mancanza di una rivista che sia sia mondana sia politica sia letteraria, settimanale, di questo livello. Mi chiederei se sia fattibile a queste latitudini.

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