Sartre, Evangelion e The Good Place
[SPOILER ALERT per Porta Chiusa, per Neon Genesis Evangelion e per The Good Place. Consiglio di recuperarli tutti e tre. Altrimenti potete continuare, ma a vostro rischio e pericolo.]
Nella sua opera drammaturgica più famosa, Porta chiusa, Sartre imbandisce la triste commedia di tre anime, Ines Garcin ed Estelle, che scoprono che l'inferno non è un lago di fuoco, bensì una stanza d'albergo dove saranno obbligati a convivere. Capiscono in fretta che non c'è un boia pronto a punirli, ma che ognuno di loro è stato scelto per essere il boia degli altri. Provano a non interagire, a concentrarsi sui fatti del mondo che si sono lasciato addietro; inutilmente. Il loro desiderio li spinge ognuno a confrontarsi con l'Altro.
Estelle è ossessionata dalla figura maschile, e cerca di sedurre Garcin; Ines odia gli uomini e cerca di allontanare Estelle da Garcin in modo da averla tutta per sé (che sia lesbica, è un dettaglio su cui il testo non ci illumina direttamente, ma che tuttavia considero plausibile, anche se non così rilevante); Garcin, per finire, è scisso tra il desiderio per Estelle e quello di convincere Ines ad ammirarlo - un doppio desiderio che poi è uno solo, quello che gli sia riconosciuto il suo valore di maschio. Si presentano l'un l'altro come vittime del destino ingiusto che li ha spediti all'Inferno; pian piano però vengono fuori i loro veri peccati, le loro meschinità, che li hanno condannati a quella stanza, che li rendono perfetti a vicenda. E dire che sarebbe tanto semplice che ognuno mandasse al diavolo gli altri, che ognuno pensasse a sé. Sarebbe così semplice per Garcin ed Estelle mettersi insieme e lasciare in pace Ines, sola e addolorata. Semplice, ma impossibile: Garcin non può sopportare che qualcuno pensi di lui meno di quello che lui pensa di se stesso, e in questo modo, torturato da Ines, tortura Estelle, che lo vorrebbe tutto per sé e che non può fare a meno di torturare a sua volta Ines, negandosi e preferendole Garcin.
"L'inferno sono gli altri" medita Sartre per bocca dei suoi personaggi. Lo sguardo oggettivante degli altri, quando ci reifica, ci trasforma in cose; lo sguardo strumentalizzante degli altri, quando si rifiuta di riconoscerci Io a nostra volta e ci riduce a strumenti del soddisfacimento di impulsi che non sono neanche i nostri; il pensiero che gli Altri hanno di noi, quando ci figurano diversi e peggiori di come figuriamo noi stessi, e che media come figuriamo noi stessi: tutto questo è il tormento dell'umanità, l'inferno in quanto Io in opposizione a un Altro. Persino più tormentoso è il fatto che agli Altri non possiamo rinunciare: e che anche rinunciandoci, dico, come gli stiliti dei tempi antichi, siamo alla fine definiti da questa rinuncia, che è la rinuncia dell'Altro. Dice Sartre:
Quando pensiamo a noi, quando cerchiamo di conoscerci, in fondo usiamo delle conoscenze che gli altri hanno già su di noi, noi ci giudichiamo con gli strumenti che gli altri hanno, che ci hanno dato, di giudicarci. Qualunque cosa dico di me, il giudizio degli altri è sempre in mezzo. Qualunque cosa io provi per me, il giudizio degli altri ci si mette in mezzo. Ciò vuol dire che, se i miei rapporti sono cattivi, io mi metto a totale dipendenza degli altri e allora, in effetti, io sono nell’inferno. [...] Ma ciò non significa affatto che non si possa avere altri rapporti con gli altri, questo delinea semplicemente l’importanza capitale di tutti gli altri per ciascuno di noi.
Il rapporto drammatico con l'Altro è al centro di Neon Genesis Evangelion, un anime che, non mi vergogno a dirlo, posso accostare in termini di qualità alle migliori opere letterarie, da Dostoevskij allo stesso Sartre. Shinji, il protagonista, vive una relazione conflittuale con l'Altro, di volta in volta rappresentato da Asuka, da Rei, Misato, Kaworu e da sua padre Gendo. Shinji è da molti accusato d'essere un personaggio inconsistente: a volte cerca di fare del suo meglio combattendo gli Angeli, a volte scappa. Non faccio una colpa a chi la pensa così: sono abituati a quei tanti anime dozzinali, con personaggi granitici che, come samurai, seguono ciecamente un codice etico senza mai cambiare. La coerenza è una virtù letteraria, pare. Shinji invece è un personaggio reale: oscilla costantemente tra i due impulsi di assecondare gli Altri (salire sul robot fisico, l'EVA 01), aspettandosi in cambio, se è "abbastanza bravo", un amore senza limiti e una cura senza fine; e scappare, per paura, credo, di dimostrarsi incapace agli occhi di quegli stessi Altri. Insomma, per non convivere con l'immagine negativa che l'Altro ha di lui.
Il rapporto più significativo di Shinji è quello con Asuka, la pilota dell'EVA 02. Ragazzo e ragazza, i due sono attratti l'uno dall'altro (che poi è l'Altro per eccellenza, l'Altro sessuale): si avvicinano, si sfiorano, ma non possono fare a meno di ferirsi e di allontanarsi di nuovo. Tristemente, sembra sia nella loro natura. Alla fine di quel capolavoro che è The End of Evangelion, il film che chiude la serie, Shinji cerca di strozzare Asuka - Asuka in questo caso è l'Altro che resiste, l'Altro che non si piega a noi, che neppure ci vede. Asuka lo accarezza, e Shinji forse capisce che è quella carezza che egli desidera, cioè un atto d'amore, e che solo in assenza di quello non riesce a frenare il desiderio di distruggerla. Quindi la lascia andare, sconfitto dall'immagine che ha di se stesso. Poi Asuka dice le ultime parole di tutto Evangelion: "Che schifo".
In quel momento Asuka vede perfettamente la natura del rapporto tra Sé e l'Altro, quell'eterno conflitto, quell'eterna altalena tra i poli dell'annientamento e dell'assorbimento (da cui ci preservano, nella terminologia di NGE, le Barriere dell'Anima - sono naturalmente poli estremi, e una persona più o meno sana non li esperisci così, nella loro nudità), e ne ha schifo.
Negli episodi 25 e 26, in cui finalmente Shinji raggiunge un equilibrio e sale sul maledetto robot (metaforico stavolta), si cita quasi esplicitamente Sartre (o forse Pirandello?), e il pensiero che esistano molti noi nelle menti degli altri; che però non corrispondono a noi, almeno il noi che è nella nostra mente. Ma Shinji finalmente riesce a integrare le varie parti di sé e della sua vita, e gli episodi 25 e 26, per quanto famigerati (io li ho trovati bellissimi), si chiudono con un finale molto più positivo di TEOE.
C'è ancora un'altra opera di cui vorrei parlare, che affronta lo stesso problema di queste due, quello dell'Altro come dolore irriducibile, ribaltandone le conclusioni. Parlo di The Good Place, un bel telefilm, comico e intelligente, di cui avevo già scritto qualcosa qui.
La premessa di The Good Place è semplice: un gruppo di persone, dopo la morte, in virtù dei propri meriti, sono portate in Paradiso, fatte alloggiare nella casa dei loro sogni, e appaiate con le loro anime gemelle e con i migliori amici che potrebbero desiderare. Tutto fantastico... solo che non è così.
La grande rivelazione dell'ultimo episodio della prima stagione - che mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta - è che non si trovano affatto in Paradiso. Sono all'Inferno, circondati da demoni che si fingono beati, e sono stati messi assieme perché perfetti, sì, ma solo a torturarsi a vicenda. A parte il cliffangherone, fin qui nulla di nuovo rispetto a Sartre. La serie sembra una variazione comica al suo Porta Chiusa. Sennonché...
Sennonché avviene qualcosa che neanche le infinite burocrazie infernali avevano previsto. I quattro protagonisti, pur tormentandosi, inaspettatamente stringono tra loro dei reali rapporto umani, e iniziano a cambiare. Diventano davvero persone migliori, forse degne del Paradiso. Pur ignorando di essere all'Inferno, trovano dentro di sé la forza per superare le proprie piccolezze, le proprie meschinità, per diventare davvero amanti, amici, insomma persone degne dell'affetto gli uni degli altri, e capaci a propria volta di provare affetto senza bisogno di nulla in cambio, neanche un rispecchiamento positivo. Insomma, se Sartre scrive Porta Chiusa pensando a un inferno che nasce dai rapporti negativi con l'Altro senza però descrivere quelli positivi, The Good Place riprende da dove Sartre ha lasciato e, ipotizzando stavolta rapporti positivi, potrebbe benissimo far dire a uno dei suoi personaggi "Il paradiso sono gli altri".
Questo è il messaggio di The Good Place, in antitesi e a completamento di Porta Chiusa ed Evangelion (in cui un reale rapporto umano, non basato sul ferirsi a vicenda, è sì ipotizzato, ma mai davvero mostrato... se non nella sua versione aberrante, il Progetto per il Perfezionamento dell'Uomo; oppure molto brevemente e con un finale tragicissimo, la relazione tra Shinji e Kaworu - o, ancora, alla fine dei quattro film del Rebuild): che negli Altri non c'è solo la possibilità dell'Inferno, ma anche quella del Paradiso. Che se riuscissimo a trovare le persone giuste, e a superare tutte quelle stupide paure che ci legano, allora potremmo davvero stare bene. Essere visti per quello che siamo.
Ditemi voi, Veri Credenti, se non vale la pena di provarci.
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