Prendere fischi per maramai
La ventura di avere un padre che, benché io abbia meno di trent'anni, sia stato bambino quando l'Italia iniziava a combattere nella Seconda Guerra Mondiale, è che ricordo, per interposta persona, tutta una serie di colori e dettagli che risalgono fino all'Italia fascista. Per carità: capita a moltissimi, ma sempre di meno mano a mano che le generazioni passano, e ad ascoltare i programmi di CasaPound si nota.
Avverto che questo non è un articolo che tratti di verità generali, anche se forse sono generalizzabili. Si ricollega a un altro di qualche tempo fa, in cui riflettevo che tutti nella vita ci portiamo dietro diciamo delle "sacche di irrealtà", degli errori tremendi, a prescindere dalla nostra cultura personale (di là facevo l'esempio di un mio amico avvocato che non sapeva scrivere scotch), che ogni tanto scopriamo, e quanto siamo meravigliati, perché saremmo stati pronti a giurare il contrario, che quella cosa la sapevamo perfettamente. Faceva parte della nostra enciclopedia. Ecco, ad esempio, a me fin da piccolo cantavano canzoni italiane molto vecchie, e tra questa una delle preferite di mio padre era Maramao perché sei morto, forse perché è un po' infantile e per l'appunto gli pareva adatta a un bambino. La conosciamo più o meno tutti. Mi cantava solo questi versi, gli unici che riuscisse a ricordare:
Maramao perché sei morto?
Pane e vin non ti mancavan,
L'insalata era nell'orto
E una casa avevi tu.
Io per anni, e avrei spaccato il muso a chi m'avesse detto il contrario, ho nutrito la convinzione che Maramao fosse il nome eccentrico di un signore, eroe tragicomico italiano, e che la canzone, benché allegra, riflettesse sulle incertezze della morte, che può prendere anche chi vive in una bella casa (che, per sincretismo canzonesco, m'immaginavo fosse quella casetta piccolina in Canadà) in mezzo all'abbondanza, e insomma fosse una rielaborazione del memento mori.
Adesso per caso mi capita sott'occhio la custodia del quarantacinque giri di Maramao (Edizione S.A. Melodi, Milano) in cui campeggia, nero e ocra, l'immagine di un gattone sopra un tetto. M'è venuta la curiosità e leggendo il testo completo scopro che sì, Maramao non è affatto un cristiano col nome scemo, ma un gattone col nome appropriato. M'aveva tratto in inganno il riferimento al pane, al vino e all'insalata; e adesso non so dirvi se all'epoca, prima del razionamento, si usasse dar da mangiare ai gatti pallottole di pane inzuppate nel vino, o se si tratta solo di una stravaganza degli autori del testo - ma vedo che il testo viene da una filastrocca napoletana del XVI secolo, e dei gatti di allora so ancora meno che dei gatti del '39.
Quindi, un aneddoto personale narrato con mirabilissimo tono da iscoperta, perché un po' per me è stata una scoperta, un piccolo pezzo della mia infanzia che cambia, e per fortuna è un pezzo abbastanza irrilevante. Chissà se qualcun altro credeva che quel Maramao cantato dal Trio Lescano fosse un uomo, o se è una cosa solo mia, che sono un po' gnocco. Ma, ecco, le scoperte non finiscono mai, e io che adesso ho imparato a scrivere suspense senza più sbagliare, chissà quante altre sacche di irrealtà mi rimangono, da andare avanti fino alla vecchiaia a correggermi!
P.S.: In molti credono che Maramao perché sei morto, quando uscì, fosse un neanche tanto velato riferimento alla morte del padre di Galeazzo Ciano, motivo per cui l'Italia fascista in un primo tempo lo censurò. Ma questo non cambia niente: al di là dell'allegoria, che ormai ha poco da dire al pubblico contemporaneo, il testo in sé parla insindacabilmente di gatti 🐱
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