Da Hogwarts a Roke: L'importanza dell'istruzione per un corretto uso della magia

Ursula Le Guin, Ursula Le Guin, Ursula Le Guin. La geniale autrice, che è da poco scomparsa, ha scritto alcuni dei miei libri preferiti. Dato che sono un buon amico, questi libri li consiglio sempre a tutti. Tanto li consiglio che viene anche a me voglia di rileggerli. Di recente, ad esempio, ho riletto il primo libro della saga di Terramare, il romanzo per ragazzi Il mago (in originale A wizard of Earthsea), il più bel romanzo fantasy che io abbia mai letto - dopo, forse, Il Signore degli Anelli. Ecco, a leggerlo non si può fare a meno di accostarlo a un altro romanzo che parla di un maghetto che cresce e deve affrontare le forme del maligno, e di una scuola di magia dove grandi stregoni insegnano a ragazzi avidi di conoscenza tutto ciò che sanno. Parlo della saga di Harry Potter (di cui avevo brevemente scritto qui).



Ora, A wizard of Earthsea è stato pubblicato nel 1968, cioè ventinove anni prima di Harry Potter e la Pietra Filosofale, e non mi stupirei di scoprire che sia stata una delle fonti della Rowling. Eppure salta subito all'occhio una certa differenza tra i due libri, e in particolare (almeno, per ciò che concerne questo post) nel trattare l'argomento della scolarità. Hogwarts in Harry Potter è l'ambientazione di gran parte delle vicende, mentre Roke in A Wizard of Earthsea, sebbene presente in spirito in tutte le pagine del romanzo, è lo sfondo dell'azione solo per un paio di capitoli. Più ancora di questo, tuttavia, è la filosofia delle scuole, e anzi la filosofia delle autrici, che mi interessa esplorare.


Possiamo dire - nel senso che avremmo ragione a dirlo - che Hogwarts è una scuola di magia dal piglio eminentemente pratico. A parte "Storia della magia", che, Deo gratias!, contribuisce a instillare un po' di senso di storicità nelle menti di questi maghi imberbi, nelle aule presiedute da Silente vengono studiati solo incantesimi, pozioni e poco altro. Nonostante ci siano delle parentesi teoriche affrontate in alcune materie (da imparare rigorosamente a memoria!), alla fine la sensazione che si comunica al lettore è che non sia importante capire come è possibile che una piuma leviti nell'aria, purché si sappia sventolare la bacchetta e farla finalmente levitare. Del resto, persino studiare una monografia sui lupi mannari lascia dubbiosi sul livello di istruzione raggiunto, quando nessuno ha mai spiegato agli studenti cosa sia un mammifero.
A Hogwarts, insomma, nessuno che studi letteratura, o geografia, o quel poco di matematica che serve nella vita di tutti i giorni, o non sia mai scienza babbana. Si può uscire diplomati dalla più prestigiosa scuola per maghi di tutta l'Inghilterra senza sapere cosa sia l'olocausto. Ma nulla di male: Harry Potter nasce come letteratura per bambini, che ai bambini vuole riportare il senso del meraviglioso, e a questi ultimi piace più fantasticare sulla magia pratica che su una vaga illuminazione mistica da cercare dentro e fuori dai libri. La Rowling ha fatto benissimo a descrivere Hogwarts così come l'ha descritta. Per quel che riguarda Terramare, che nasce come saga per ragazzi più che per bambini, si va nella direzione diametralmente opposta.
Ursula Le Guin sembra più colta della Rowling (non voglio che suoni come un insulto: valuto in base alla produzione libresca, ai titoli accademici, persino, nel caso della Le Guin, ai legami familiari), più curiosa, più intelligente, e il suo libro non si limita a voler essere un divertissement per giovani lettori, ma nasce come un vero e proprio romanzo di formazione. Quando la Le Guin lo ha scritto, ha cercato di parlare della crescita, del diventare adulti, e non da meno adulti responsabili*. E come si diventa adulti responsabili - come, nell'elaborata metafora che è il romanzo Il mago, si impara a usare la magia? Facile: tanto per iniziare bisogna andare a scuola. Bisogna sapere le cose. Non il semplice saper fare - che poi semplice non è, non ci piove - ma anche sapere tutte quelle conoscenze teoriche che ci permettono di interpretare correttamente il mondo attorno a noi, e noi in mezzo al mondo. Quelle conoscenze che, pur annoiando a morte gli studenti, vivaddio la scuola cerca ancora di inculcarci. Così il Maestro dei Canti insegna qualcosa di paragonabile a lettere antiche e moderne e storia; il Maestro dei Nomi uno strano miscuglio di geografia, tassonomia e quant'altro; il Maestro Erborista insegna biologia e persino medicina; e infine il Maestro dei Modelli, il cui ambito è il più misterioso della scuola, è un filosofo che insegna filosofia a giovani allievi sperduti, il faro che dovrebbe guidare le loro future azioni da maghi. La scuola, vessillifera (sulla carta) di una conoscenza che i suoi detrattori si divertono a definire "asettica" o perfino "inutile", "inspendibile nel mondo del lavoro", ugualmente ci insegna a orientarci in un universo che, altrimenti, ci lusingherebbe di sapere abbastanza, e invece sapremmo niente, e saremmo vittima delle peggiori superstizioni (politiche, diciamo il fascismo; culturali, diciamo l'etnocentrismo; biologiche, diciamo il razzismo o l'anti-vaccinismo; e persino religiose, diciamo la forma più bassa di occultismo). La scuola purtroppo non è una garanzia contro queste superstizioni - e vedere gente laureata che crede ancora nell'oroscopo, ad esempio, mi gela il sangue -, ma è meglio dell'alternativa, che è muoversi da ciechi nel mondo, credendo di avere undici decimi per occhio.
La Le Guin, l'importanza dell'istruzione la sostiene fin dal primo capitolo del romanzo. Il bambino che un giorno diventerà Ged, Arcimago del Terramare, assiste all'invasione del suo villaggio da parte di un gruppo di guerrieri kargav (barbari). Già conosce qualche incantesimo, racimolato qua e là da una strega ignorante e da qualche stregone di passaggio, e sa di essere dotato nell'Arte. Desidera più di tutto scagliare una magia contro i suoi nemici, per proteggere le persone che ama e in sovrappiù salvarsi la pelle. Il testo dice
Frugò nella memoria, sforzandosi di ricordare tutte le formule magiche e gli incantesimi che aveva imparato, in cerca di qualcosa che potesse dare a lui e ai suoi compagni un vantaggio, o almeno una qualche opportunità di cavarsela. Ma il bisogno, di per sé, non è sufficiente a scatenare il potere della magia. Ci vuole la conoscenza.
Io, si capisce, non posso che trovarmi d'accordo con queste parole. Credo nel sistema scolastico, da persona che a scuola ci ha passato e ci passa gran parte della vita; quel sistema che però si cerca di indebolire, di svantaggiare, di relegare in secondo piano, soprattutto quei percorsi - scuola superiore in particolare - meno indirizzati al fare pratico, e più al fare speculativo (si predilige Hogwarts a Roke, mi pare**). Come me, forse, la pensa anche Andrea Marcolongo, autrice di quel best-seller pro-scuola che si chiama La lingua geniale: 9 ragioni per amare il greco. In un articolo sul Tuttolibri datato sabato 5 maggio, Marcolongo scrive:
Spesso ci si domanda a cosa serva leggere i classici, se siano utili o meno. A mio parere (e a parere dei Greci), se il parametro di utilità venisse applicato alle cose che rendono la vita degna di essere vissuta, ne rimarrebbero pochissime. La scuola, il cui compito primo è di trasformare in adulti i poco più che bambini che varcano la sua soglia, sembra oggi finalizzata a formare solo lavoratori. Ma noi esercitiamo o siamo una professione, ci chiedono i classici?
Non sottovalutiamo il valore dell'istruzione, quindi; e soprattutto il valore dell'istruzione speculativa. Definiamola, per aiutarci a visualizzarla: l'istruzione è quella cosa che ci rende adulti, e non delle macchine che si limiteranno a svolgere un lavoro. Storia, letteratura, biologia, chimica, matematica, fisica, filosofia. Per quanto mi riguarda io non ho dubbi: preferirei mille volte essere ammesso a Roke, all'Isola dei Saggi, piuttosto che ricevere la mia lo stesso agognatissima lettera di ammissione ad Hogwarts.



______
* Lo dice lei stessa in alcuni articoli. Cfr., ad esempio, Il linguaggio della notte.
** E che una persona sia più portata per Hogwarts che per Roke, non c'è nulla di sbagliato. Fuor di metafora, se è più portata per un Istituto Tecnico che per un Liceo Classico, fa bene a scegliere il primo. Tutti noi dovremmo seguire il nostro percorso e solo il nostro - anche questo è uno dei messaggi di A wizard of Earthsea. Il considerare il Classico inferiore a un Istituto Tecnico, il sapere speculativo inferiore al sapere pratico, è questa la cosa che mi spaventa. Il diffondersi del pensiero anticulturale. Lo scrivere su Facebook "Laureato all'Università della strada" come motivo di vanto. Ma, mi chiedo, se sei laureato all'Università della strada e in vita tua non hai mai neanche aperto un libro, che magie potrai mai creare?

Commenti

  1. Post veramente interessante e che condivido pienamente. Molto spesso tendiamo a dare troppa importanza alle cose concrete e ci dimentichiamo dell'importanza delle materie "secondarie" che invece possono farci comprendere meglio il mondo che ci circonda.

    P.S. I primi tre libri della saga di Terramare sono tra i migliori fantasy che abbia mai letto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Long John. A proposito di Terramare, oltre ai primi tre libri, anche "Another Wind" e i racconti a me paiono dei capolavori. Tehanu sosterrò fino alla morte che è la genialata, ma non la rileggerei tanto presto! Però questo magari lo faccio diventare materiale per un altro post

      Elimina
    2. Ho l'edizione Nord, purtroppo i racconti non sono presenti e quindi non mi sbilancio. Gli ultimi due libri invece non sono riuscito ad apprezzarli e li ho trovati abbastanza deludenti.

      Elimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Che schifo, la tripofobia!

Quel che resta del giorno

Lupo solitario ed io (#1: I Signori delle Tenebre)