Posso parlare di ciò che non conosco?


La prima regola della scrittura, a detta di tutti, è "parla solo di ciò che conosci"*. Be', non è esattamente la prima, ma di certo è sul podio. Molti scrittori ne derivano la massima di dover parlare solo della propria quotidianità, più o meno romanzata, e di dover scrivere personaggi a loro volta scrittori, o aspiranti tali. In verità la regola ha un significato leggermente più comprensivo: significa che, se finite per parlare di cose che non conoscete, allora dovete fare delle ricerche finché non le conoscete a menadito. Leggete libri, giornali, cercate persone che ne sanno qualcosa e intervistatele. Se scrivete di un pescatore dovete sapere come si pesca, cosa si pesca e possibilmente parlare prima con qualche pescatore di vecchia data. Questo a meno che voi non siate a vostra volta dei pescatori: cosa che, ovviamente, garantisce in modo automatico che queste tre condizioni siano soddisfatte.
Io faccio ricerche. Faccio un sacco di ricerche. Quando pensavo di scrivere un romanzo ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale, ho recuperato una rassegna di giornali del 1940. Solo per entrare nel mood, diciamo, e naturalmente per sapere quali informazioni il regime passasse ai suoi cittadini (un bell'investimento, anche se alla fine non farò quel romanzo). Eppure esistono un'infinità di dettagli che semplicemente non posso sapere, anche con internet a portata di mano. Da qualche parte, in una storia a cui ancora non ho pensato, potrei trovarmi nella situazione di dover descrivere lo stato delle strade - manutenzione, erosione, buche - tra Kilkenny e Thomastown nel 1800. Ecco, forse ci sono alcuni libri che si occupano di ricostruire questi dettagli - esistono libri per ogni cosa -, ma onestamente non saprei dove reperirli. Quindi dovrei iniziare a inventare. Non dimentichiamoci che è questo che fa uno scrittore: inventa. Inventa dettagli. Un esperto di urbanistica irlandese del XIX secolo si accorgerà immediatamente del mio errore, ma uno non può scrivere tenendo a mente tutti i possibili mestieri di questo mondo, e l'opinione delle persone che li svolgono (Eco parlerebbe di "lettore modello", e il lettore modello di ben pochi scrittori è un esperto di urbanistica irlandese di qualunque secolo). Certo sarebbe bello scrivere un libro perfetto, un libro senza errori circostanziali, ma allora ci ridurremmo davvero a scrivere la storia della vita che conduciamo giorno per giorno, perché lì sui dettagli non potremmo nutrire dubbi. Ma non si può scrivere fissando sempre il proprio ombelico, vero?
Eco parlava solo di posti in cui era stato: che fossero Torino, Parigi, Praga, o una nave abbandonata che poteva o non poteva essere ferma vicino alla linea del cambiamento di data. Io d'altra parte (non mi sto paragonando a Eco: solo, lo usavo per illustrare un metodo ossessivo di raccolta di informazioni che non è il mio) ho visitato raramente i posti di cui parlo, perciò tendo a inventare molti dei dettagli secondari. Non me ne preoccupo perché non cerco di scrivere romanzi realisti: a me piace il genere fantastico, e un bravo scrittore di narrativa fantastica riesce a dare solidità a mondi inventati attraverso l'utilizzo di dettagli parimenti inventati.
In ultima analisi, l'unica cosa che importa è che il lettore si convinca che tu abbia scritto qualcosa di vero. Certo, questo risulta decisamente più facile quando scrivi qualcosa di vero (da qui la regola del "parla solo di ciò che conosci"), ma, se sai fare il tuo mestiere, non è impossibile neanche quando scrivi qualcosa di completamente falso. In altre parole: se si può è sempre meglio scrivere qualcosa di giusto; ma dato che questo non è sempre possibile, ogni tanto si deve anche scrivere qualcosa che sia più convincente del giusto.


Altri articoli sulla scrittura (secondo me):
  1. Ma gli italiani sognano pecore realiste?
  2. Svelato il segreto per diventare grandi scrittori
  3. Imparare a scrivere creativamente
  4. Meglio tre parole

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* Naturalmente non esiste un decalogo della scrittura creativa. Quelle che si definiscono "regole" sono in realtà consigli per minimizzare il rischio di scrivere male. Chi li voglia infrangere lo faccia pure; ma a proprio rischio e pericolo.

Commenti

  1. La regola vale sempre: parla solo di ciò che conosci.
    Parlare di un luogo "vero" è facile: esiste. Se devi parlarne di quando quel luogo era giovane e tu non eri ancora nato, i giornali non c'erano e numerosi eccetera mancavano, devi includere tutti quei dettagli che sono giunti fino a noi e rimontarli. Il lavoro di un archeologo, insomma, ma senza l'obbligo del rigore scientifico. Quando hai inserito tutti i dettagli noti riguardo, chessò, la Dublino del XVIII secolo, puoi permetterti di aggiungere il resto: attieniti al contesto e i dettagli inventati diventeranno veri.
    E col fantasy? Hai mai visto un unicorno o un drago? Be' coi romanzi fantastici (e sotto questo aspetto includo anche la fantascienza) il compito diventa arduo. Cavarsela con "tanto è un fantasy, se parlo di draghi i lettori ci crederanno per forza". No, non è così. Per parlare di un drago devi aver visto un drago e magari anche averlo "studiato" come i naturalisti fanno nei documentari. Per parlare di magia devi sapere come funziona. Per parlare del regno di Nabatir situato nella Kyrandia orientale devi disporre di mappe dettagliate, magari esserci stato e aver parlato con chi vive da quelle parti, conoscere come si chiama il re e la storia del regno... e molto, molto altro.
    Come dicevo: è arduo e la maggior parte degli autori che si cimenta in imprese del genere produce cose incoerenti. Re che cambiano nome, creature fantastiche capaci di cambiare abitudini tra una pagina e l'altra, lande vaste mezzo continente con due sole città presenti (quella da cui l'eroe parte e quella dove l'eroe arriva) e, etiamdio, i nomi buttati là senza un minimo di ricerca filologica dietro a dargli un poco di spessore.

    Al lettore non serve molto, è bravissimo a sospendere la propria incredulità se gli si danno gli strumenti giusti. Se la storia è narrata bene basta una stanza con tante sedie e due personaggi (cit: Eugene Ionesco, Le Sedie) per far immaginare un mondo intero... o almeno una Francia post-apocalittica.
    Però ogni dettaglio deve essere coerente con la storia che si sta raccontando. Per tornare all'esempio di Ionesco e delle Sedie, se i due personaggi "Il vecchio" e "La vecchia" si fossero chiamati "Arthur" e "Clothilde" credo proprio che tutto l'impianto narrativo ne avrebbe sofferto.

    Ne segue che il vecchio adagio "parla di ciò che conosci" è sempre valido, anche (e soprattutto) quando si parla di qualcosa che non esiste.

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  2. Naturalmente! Sono d'accordo con te. Al 100%. Per amore della precisione, comunque, il mio discorso riguardava i dettagli inconoscibili, o perlomeno di fatto introvabili. Manzoni era della mia stessa opinione (cfr. vero storico e vero poetico), e persino Eco, nonostante la sua ossessività, ammette queste eccezioni. Ecco, diciamo, tu hai preso in considerazione una sfumatura che riguarda la costruzione del "verosimile", e allora certo bisogna parlare solo di ciò che si conosce (non ho approfondito, ma sono certo che nell'articolo vedrai che la penso proprio come te); io mi sono invece concentrato più sul "vero", e su questo sarai senz'altro tu a essere d'accordo con me. Sono molto contento che tu abbia fatto questo intervento, che ha completato e rifinito il mio discorso :D

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  3. Bell'articolo!
    Anch'io ho sempre preferito rivoltare la "regola" in questione così: non tanto "parla di ciò che conosci", quanto "vedi di conoscere ciò di cui parli"...
    E poi c'è la questione di verità e realtà - che non sono necessariamente la stessa cosa. Anzi.

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