Non c'è bisogno di guardare nell'abisso

Non scriverei questo articolo se, nell'ultimo periodo, non avessi visto ogni sorta di medium riempirsi di interventi vergognosi sull'omicidio di Sara Di Pietrantonio. Anche così, ho aspettato parecchio prima di pubblicarlo - il che suonerà forse un po' ipocrita. Personalmente capisco il bisogno di parlare, a torto o a ragione, e di sfogarsi, di ridimensionare la tragedia come è possibile; ma non lo sento quasi mai in prima persona. Per questo fin dapprincipio mi sono ripromesso di tenere Psicologia e Scrittura lontana da questo genere di articoli (l'unica eccezione che ho fatto è stata per la morte di Paolo Poli): articoli che, più spesso che altro, servono a cavalcare l'onda dell'indignazione per ottenere visualizzazioni.

Il razionale dietro certi articoli

Sara Di Pietrantonio è morta. Aveva chiesto aiuto e nessuno l'ha ascoltata. Gli automobilisti che le passavano accanto non si sono fermati. È inutile rivangare la storia. La conoscono tutti. E infatti tutti, fin dal giorno dopo, hanno tuonato, su internet o in televisione, sui giornali o sulle riviste, sostenendo che loro sì si sarebbero fermati, nessun dubbio, e avrebbero fatto qualcosa; o, quelli più sinceri tra loro, dicendo che perlomeno avrebbero chiamato la polizia, se fossero stati presenti.
Non posso dire che sia vero o che sia falso. Io dico che, per quanto mi riguarda, non so cosa avrei fatto. Probabilmente avrei agito come quelli che si sono davvero trovati in quella situazione, gli unici che possano parlare con cognizione di causa e non con ragionamenti controfattuali, fuori contesto, al sicuro dietro una tastiera o in uno studio televisivo. Questo non significa che io abbia l'impressione di essere un menefreghista. Allora perché dico così?

L'EFFETTO SPETTATORE
Nel 1968 e nel 1970 due psicologi, John Darley e Bill Latanè, condussero due esperimenti. Il primo prevedeva la convocazione dei soggetti in una sala d'attesa per compilare un questionario (situazioni sperimentali con un soggetto isolato o insieme a due complici dello sperimentatore oppure ancora con più soggetti). Durante lo svolgimento dell'esperimento veniva fatto entrare del fumo da una fessura sotto la porta. Quando nella stanza era presente un solo soggetto, già nei primi minuti egli correva a dare l'allarme (nel 75% dei casi); nella situazione con più soggetti, così come quando nella stanza erano presenti dei complici il cui scopo era fingere disinteresse, soltanto il 38% dei soggetti cercava di dare l'allarme entro i primi sei minuti,
Il secondo esperimento prevedeva la convocazione di un soggetto in una cabina chiusa dotata di cuffia e microfono. Il soggetto credeva, attraverso questa cuffia e questo microfono, di poter comunicare con l'esterno e di poter ascoltare altri soggetti sperimentali in altrettante cabine - in realtà voci registrate. Una delle voci, a un certo punto, simulava un malessere e chiedeva che qualcuno l'aiutasse. Come rispondevano i soggetti?
Quando credevano di essere soli con la persona che si sentiva male, l'85% di loro interveniva immediatamente. Nel caso credessero di essere in compagnia di altre due persone, il 62% interveniva; quando credevano che quattro persone oltre a loro partecipassero all'esperimento, soltanto il 31% faceva qualcosa.
Già dopo il primo esperimento, Darley e Latanè formularono la Teoria dell'ignoranza pluralistica o Effetto Spettatore. Le persone, secondo questa teoria, sono portate a non intervenire in situazioni di emergenza se, in compagnia, nessun altro interviene. Possono credere che tutto proceda normalmente, che altri e più qualificati di loro debbano intervenire (questo è un buon esempio di come l'Effetto Spettatore sia a volte utile: in un incidente stradale è bene non gettarsi nella mischia, salvo pericoli immediati, prima che arrivino i soccorsi), o chissà che altro. Forse, all'interno del gruppo, esperiscono quella che si chiama diffusione di responsabilità, cioè un senso di colpa minore perché suddiviso tra più persone.
Se vogliamo dirla con altre parole, più persone sono spettatrici di una situazione, meno ognuna di loro si sentirà in dovere di intervenire per prestare soccorso o evitarla. Questo si può applicare anche a una richiesta d'aiuto su una strada più o meno trafficata*.
Espressioni agghiaccianti

IL CASO KITTY GENOVESE
Nel 1964, nel cortile di un condominio di New York, una ragazza, Kitty Genovese, venne accoltellata da Winston Moseley, assassino e necrofilo. I vicini sentirono le sue grida e si affacciarono alle finestre. Uno di loro urlò e Moseley, per paura di essere catturato, fuggì. Allora la Genovese si rialzò e, sanguinante, si allontanò per quanto poteva dal luogo dell'aggressione. Successivamente Moseley tornò indietro, la raggiunse, la pugnalò di nuovo, la violentò, la derubò e scappò prima che una delle persone che stavano guardando si decidesse a chiamare il 911. La ragazza morì di lì a poco.
Il caso, per quanto agghiacciante, è meno estremo di quello che ha riportato sulle sue pagine il New York Times il giorno dopo e che ricorda la cultura di massa. La maggior parte degli spettatori del primo assalto di Moseley dalle loro postazioni non potevano vedere che Genovese, quando si allontanò, era sanguinante. Molti di loro credettero che fosse stata picchiata, non accoltellata, e uno in effetti chiamò già allora la polizia, che però non dette peso alla cosa. Nessuno di loro assistette al secondo attacco. Molti di quelli che sentirono le urla non capirono che erano di dolore, e altri pensarono a un litigio tra innamorati, acceso ma innocuo. Quante volte noi, sentendo delle urla di bambini in lontananza, concludiamo che stanno solo giocando? In tutto le persone coinvolte nel caso furono una dozzina, comprese quelle che, ingenuamente ma in buona fede, non pensarono affatto a un'aggressione. Troppe, ma non le trentasei di cui si parlò in seguito.
A parte queste precisazioni, che nulla tolgono alla tragedia, gli estremi ci sono per chiamare in causa l'Effetto Spettatore. Fu infatti dopo aver letto di questo fatto di cronaca che Darley e Latanè iniziarono a pianificare il loro primo esperimento.

IN CONCLUSIONE
Quindi no, cari opinionisti. Quello che è successo a Sara Di Pietrantonio non è una deriva di questo nuovo mondo privo di coscienza, anestetizzato davanti alla televisione, di questa Italia preda dell'omertà o di queste nuove generazioni a cui non importa nulla se non di loro stesse. E no, come sarebbe andata non lo sapremo mai, ma non potete avere la certezza che avreste fatto qualcosa nel caso foste stati lì. Le persone che c'erano non sono malate più di quanto lo siamo noi. Non sono disinteressate o malvagie più di quanto lo siamo noi. Più di quanto lo sia tutto l'Occidente, noi compresi, almeno da cinquant'anni a questa parte. Probabilmente da prima.
Questo vuol dire che non c'è speranza? No. A mio modo di vedere, la salvezza passa per la conoscenza. Quando ci troviamo di fronte a una situazione di emergenza, ora, sappiamo che quell'istinto che ci dice di aspettare che intervenga qualcun altro è un istinto sbagliato. Sappiamo che siamo noi a dover fare la prima mossa, portare il primo soccorso, dare il primo allarme.
Sappiamo che, nei limiti delle nostre competenze, siamo noi quelli col potere di salvare una vita.

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* L'Effetto Spettatore non si applica alle persone che hanno seguito un addestramento specifico. Un medico è più portato ad aiutare una persona che si sente male, anche se nel gruppo nessun altro fa qualcosa.

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