Paolo Semelli, o della poesia
Quarto appuntamento con le interviste pissicologiche a metà tra arte e psicologia. Per sapere di cosa
tratta questa rubrica, vi prego di dare un'occhiata qui. Per vedere gli altri articoli,
vi basterà cliccare qui. Tutto chiaro? Tutto a posto? Sto tranquillo? Si proceda, allora.
Quest'oggi parleremo di poesia insieme al Dott. Paolo Semelli, che oltre
agli studi di psicologia ha portato avanti un percorso parallelo legato al mondo della quinta arte. Tra i risultati che ha conseguito c'è stata la pubblicazione di una raccolta, Un passo sul vuoto, di cui potete trovare
qui una bellissima recensione.
Ora, come siamo soliti dire, bando alle ciance e iniziamo con le domande. Aspettate, siamo soliti dirlo?
Da quanto
tempo scrivi? Cosa ti ha spinto a iniziare? E qual è stata, se la ricordi, la
tua prima poesia?
Copertina del libro |
I tuoi studi di psicologia hanno
influenzato la tua teoria estetica? Qual è, se c'è, il punto di contatto tra
psicologia e poesia?
Credo che ci sia stato uno scambio
molto profondo tra ciò che ho studiato e quello che scrivo ancora oggi: da una
parte questa ricerca interiore quasi sfiancante mi ha certamente condotto sulla
strada della psicologia, che a
sua volta mi ha portato a
perfezionare le chiavi di lettura della realtà e di tutto ciò che circonda la
dimensione interiore. Non è un caso che la mia raccolta sia uscita proprio in concomitanza con la mia laurea in psicologia: sentivo di
aver concluso un percorso che per me superava la pura didattica.
Tu hai pubblicato una silloge di
poesie, qualche tempo fa - cosa quasi impossibile, qui in Italia, mi pare di capire. Ci piacerebbe
che ce ne parlassi.
Ho pubblicato una silloge e l'ho
fatto a spese di un editore che ha fin da subito creduto in me e che non
smetterò mai di ringraziare, Acar Edizioni. L'Italia
è un paese strano, si dice ci siano più scrittori che lettori, e io credo
sia in parte vero. Purtroppo il mercato
della poesia attualmente è un po'
stagnante, servono editori incoraggianti come il mio per poter arrivare a
pubblicare un libro come Un
passo sul vuoto. Le grandi librerie preferiscono non tenere in giacenza
raccolte poetiche di emergenti. Il mio non è
un best seller, ma ho incontrato
molte persone che sono state felici di leggermi e credo che questa sia la
soddisfazione maggiore che possa arrivare da un lavoro del genere.
E ora, la vexata quaestio:
secondo il tuo parere tecnico, come si fa a riconoscere il valore intrinseco di
una poesia? Io come posso, cioè, distinguere un lavoro di Dylan Thomas da uno
di Francesco Maria Muzzalani, il mio barbiere all'angolo che ha pubblicato una
raccolta con youcanprint?
L'autore |
Questa è una domanda che mi fanno
in molti e che io stesso mi sono fatto molte volte. Capita anche a me di
leggere poeti molto affermati e acclamati dalla critica e di pensare “Con
trentamila lire il mio falegname la scriveva meglio”. Non credo ci siano metri
di misura efficaci in questo caso, viviamo in un tempo in cui la metrica
classica si è evoluta fino a scomparire. Io lavoro molto sulla musicalità e sul ritmo dei
miei componimenti, cercando di non soffocare troppo il logos a cui voglio dar voce: a volte ci
riesco e altre volte (quasi tutte in verità) straccio il foglio, spengo la luce e vado a dormire. Ciò che il mio
grande maestro Marco Ceriani ha cercato di inculcarmi è la necessità di possedere un
linguaggio poetico proprio, che si può formare solo attraverso lo studio dei
poeti maggiori. Credo che la differenza tra un poeta ed un “verticalizzatore di
prosa” sia tutta lì, nella cura del linguaggio e nel logos a cui dar voce.
C'è qualcosa che vorresti dire
ai giovani psicologi che ci stanno leggendo? E ai giovani poeti?
Voglio ringraziare te e loro per il tempo concessomi. E poi
solo un piccolo suggerimento che credo mi abbia fatto molto bene negli anni: non scrivete per pubblicare o per chiudere tutto
in un cassetto, scrivete perché siete vivi e una vita sola non vi basta. Un
suggerimento che può essere applicato anche agli studi, per forza di cose. In
bocca al lupo!
Grazie a te per esserti prestato. Arrivederci!
...
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