Tra storia e narrativa: L'esempio di 300 di Frank Miller

Una delle graphic novel più famose di tutti i tempi, scritta e disegnata da un fumettista altrettanto famoso, Frank Miller, è 300uscita nel 1998. L'opera ha vissuto una seconda giovinezza dopo che Zack Snyder ne ha tratto un film già di culto, ed è a sua volta ispirata a un film, The 300 Spartans (1962, in Italia L'eroe di Sparta) di Rudolph Maté. Il materiale originario è naturalmente quello di Erodoto (Storie, 7.172-239), che della battaglia delle Termopili ci dà il primo resoconto preciso, e che nelle sue pagine riporta il celeberrimo epigramma di Simonide per un'epigrafe delle Termopili:
Straniero, annuncia agli Spartani che noi qui giacciamo, in ottemperanza alle leggi di Sparta.
La storia la sanno tutti, ma per completezza la riassumo. Leonida, re di Sparta, alla testa di un esercito di vari Stati greci, progetta di bloccare l'avanzata del re persiano Serse alle Termopili. Quando la situazione si fa disperata il grosso dell'esercito si ritira, ma non Leonida e i 300 uomini della sua guardia personale, che cercano di tenere il passo e di far guadagnare alla Grecia il tempo necessario per radunare le forze.
Fornite queste coordinate essenziali, è lecito chiedersi quanto sia corretto l'adattamento di Miller. L'autore è stato più volte accusato di essere portatore di una visione razzista del Medio Oriente, contrapposta com'è alla civilizzata Grecia (dove si scrive Grecia ma si legge America). Vero o falso?  Possiamo fidarci della ricostruzione di Miller? Vediamolo insieme punto per punto.


GRECI CONTRO PERSIANI
Che è poi il clash of civilization su cui si regge gran parte della retorica di 300. Non una rivisitazione supportata dal carattere neocolonialistico americano, ma fondata già sul parere degli antichi.
L'impero achemenide, cioè quello persiano, entrò dapprima in contatto con le città greche dell'Asia Minore dopo aver sottomesso il regno di Lidia di Creso. Non dobbiamo pensare alle città dell'Asia Minore come a colonie lontane dalla madrepatria: gran parte di loro erano nate sulla spinta delle grandi migrazioni, né più né meno che le città geograficamente locate in Grecia (e lo stesso era avvenuto per la Sicilia e la Magna Grecia), durante il secondo millennio avanti Cristo. Insomma, la Grecia propriamente detta era madrepatria solo nel senso in cui le popolazioni che l'avevano raggiunta, quelle che poi alla latina chiameremo "greci" (ma che chiamavano se stessi Elleni, e prima ancora Argivi o Achei), vi si erano fermate prima che in Asia Minore e in Italia. Erano popolazioni alloctone per vocazione, divise nelle tribù dei Dori, degli Ioni, degli Eoli e degli Arcado-Ciprioti, che avevano soppiantato le popolazioni più antiche, i "protogreci" Micenei e i Pelasgi. Inoltre va ricordato che in Asia Minore e in Sicilia, non in Grecia, sono nate la filosofia e la politica, le due cose per cui hanno gran fama i greci*. Insomma a Mitilene, a Mileto e ad Alicarnasso si era greci esattamente come a Corinto, a Tebe, ad Atene; così come lo si era a Siracusa, a Sibari e a Reggio Calabria, pur con tutti i particolarismi regionali che sono propri dell'esperienza greca, a prescindere dalla latitudine.
Ora, fin dalla fine del VII secolo a.C. le città greche d'Asia erano soggette al regno di Lidia. Creso, salito al trono nel 560, preoccupato dalla potenza dell'impero persiano che si era sostituito a quello assiro, trattava coi guanti i suoi sudditi greci; tant'è che, quando Ciro il Grande chiese il loro sostegno contro la Lidia, tutte le città tranne Mileto rifiutarono. Dopo che Ciro conquistò la Lidia (548/547) rimase sempre sospettoso nei confronti dei suoi sudditi greci. A ciò si aggiunga che essi sostenevano, per motivi commerciali, l'indipendenza dell'Egitto, che la Persia desiderava fortemente e che infatti sottomise nel 525. Si capisce perché i persiani favorissero nei commerci, a loro discapito, i fenici. A queste motivazioni economiche se ne uniscono altre ideologiche: le monarchie d'Oriente veneravano il re come se fosse un Dio, e già sappiamo quanto poco i greci apprezzassero i re, figuriamoci quelli che si credevano chissachì. In particolare l'usanza della proskynesis, il prostrarsi davanti al sovrano, dovette sembrare ai greci un'usanza la più barbara; e l'ombra lunga della proskynesis si spande fino ad Alessandro Magno e agli imperatori romani.
Da un punto di vista politico, infine, Ciro - al contrario del suo successore Dario - promosse la formazione di tirannidi nelle città greche d'Asia Minore: e questo scivolare dal ruolo di cittadini attivi a quello di sudditi ("schiavi" della Persia, nella retorica panellenica) sarà il grande motivo dell'odio greco nei confronti dei persiani, quello che poi Miller riconsegna ai lettori in 300. L'associazione tra persiani e tirannidi si fece più forte quando i figli del tiranno ateniese Pisistrato, cacciati dalla polis nel 511/10, si allearono con la Persia e tentarono di entrare di nuovo in città - però fallendo.
Carlo Franco, dottore di ricerca in storia antica, acutamente scrive:
[...] fu dal confronto cruciale con la forte alterità della barbara Persia che si formò la compiuta consapevolezza di che cosa significasse essere "elleno".
Finalmente la guerra. Nel 499 a.C. le città ioniche dell'Asia Minore si ribellarono a re Dario. Chiesero aiuto alle consorelle di Grecia, ma solo Atene ed Eretria inviarono un contingente (venti navi gli ateniesi, cinque da Eretria). Nel 498, tra l'altro, queste due già si ritiravano. Nel 494 Dario soffocava la rivolta e veniva incontro alle città ioniche offrendo loro governi democratici, anche se fedeli agli achemenidi. Il Grande Re non perdonò però Atene, né Atene gli perdonò di aver raso al suolo Mitilene alla fine della rivolta - del resto, gli ioni avevano prima dato alle fiamme Sardi, capitale della satrapia di Lidia. Alcuni anni dopo questi attriti portarono allo scoppio della Prima Guerra Persiana, che fu vinta dagli ateniesi. 300 è ambientato durante la Seconda Guerra Persiana, nel settembre del 480, quando a Dario era succeduto suo figlio Assuero, o Serse.

Frank Miller oppone la fierezza e la libertà dei greci alla mollezza dei persiani. Come scrivevamo, questa non è una sua invenzione: la trae dalla storiografia e dalla retorica degli ultimi duemilacinquecento anni... spesso ansiosa di vedere nella vittoria dei greci la vittoria della civiltà occidentale sulla barbarie e sull'Oriente. Ma a ragione si è condannato l'impero persiano? Gli storici contemporanei non sembrano d'accordo. Di nuovo Carlo Franco:
Il cedimento piuttosto brusco del grande impero achemenide a seguito delle spedizioni di Alessandro (dal 334 a.C.) ha gettato una luce retrospettiva molto condizionante: a lungo l'immagine del "colosso dai piedi d'argilla" o del "malato d'Oriente" ha dominato la riflessione degli storici, anche per effetto di un'impropria analogia con la lunga crisi dell'Impero Ottomano tra XIX e XX secolo. L'idea di un Oriente stagnante e debole a fronte della Grecia subiva anche il condizionamento di una visione occidentale di stampo colonialista, che ha segnato per lungo tempo la ricerca storica sul mondo antico, entro quello che è stato chiamato "orientalismo".
Non è colpa di Miller, perciò, se ci viene proposta questa tendenziosa visione di greci vs persiani (tra l'altro, molti greci hanno militato nelle file dei sovrani di Persia, e molti statisti delle polis sono col tempo diventati apprezzati sudditi degli achemenidi, in barba a tutte le retoriche di questo mondo); ma è comunque sintomatico, credo, che lui ne sia stato tanto affascinato, e che l'abbia esasperata tanto.


AGOG(H)È
Vera pietra fondante di quella grande caserma che era Sparta, l'educazione dello spartiata iniziava a sette/otto anni, quando era portato via dalla sua famiglia e posto a vivere vita comunitaria. Lì imparava il coraggio, la lotta, la resilienza, e soprattutto che gli interessi del singolo erano subordinati a quelli della collettività.
Rasati, addestrati a rubare per mangiare, sottoposti a ogni genere di vessazione, introdotti all'intimità della carne dai piaceri violenti dei loro superiori, gli uomini (e, per un certo periodo delle loro vite, anche le donne - non è per niente che la regina Gorgo si vanta della forza delle sue concittadine) venivano addestrati con un unico scopo: quello di essere i migliori soldati di tutta la Grecia. L'istruzione formale riguardava il canto, quasi esclusivamente quello corale (e non è un caso se la lirica corale in Grecia fosse scritta prevalentemente in dorico, il dialetto di Sparta); secondo Plutarco imparavano a leggere e scrivere nei limiti dell'indispensabile; ma secondo Platone, che come altri filosofi guarda a Sparta con gli occhi offuscati dall'ammirazione, gli spartiati fingevano ignoranza solo per nascondere la propria superiore saggezza. Ecco, non è la pelle di un lupo che andavano a cercare, alla fine della loro esperienza (che comunque durava, alla lunga, fino ai trent'anni, quando lo spartiata poteva sposarsi ed entrare in assemblea, nell'apella; e alla corta fino ai vent'anni, quando diventava irene; non certo fino alla prima adolescenza, come sembra nel fumetto), ma forse la pelle degli esseri umani, come diremo dopo in relazione agli schiavi iloti.
Una curiosità. I re erano normalmente esentati dall'agoghé (con la g dura, non come viene pronunciata nel film: la Grecia antica ignorava la g dolce). Tuttavia Leonida, essendo figlio bastardo di re Anassandrida II, non inizialmente ritenuto un possibile successore al trono, si sottopose all'educazione spartana, diventando forse l'unico re ad averla ricevuta. Fu solo quando ebbe sposato la sua nipotina Gorgo che Leonida poté ambire al trono di Sparta. Tra l'altro la successione a Sparta seguiva un percorso tortuoso: non era erede il primogenito del re, ma il primo figlio da lui avuto dopo essere salito al trono - o almeno così pare.



COMBATTIMENTO OPLITICO E UGUAGLIANZA DEI CITTADINI
Circa dal VII secolo a.C., in Grecia, assistiamo a una serie di grandi sconvolgimenti, le statis (situazioni di guerra civile) tra aristocratici - che avevano da tempo ridimensionato i poteri del re, fino a farlo sparire - e popolo minuto. Quale ne fu la causa? La riforma militare, che tolse agli aristocratici la preminenza sui campi di battaglia e contribuì a far crescere la consapevolezza del proprio valore nelle plebi cittadine. Arnaldo Momigliano, uno dei padri nobili della storiografia italiana, scrive così:
[...] L'esperienza insegnò che una fanteria ben disciplinata e organizzata, composta di uomini pronti a combattere e a morire l'uno accanto all'altro, era molto più efficace della cavalleria necessariamente limitata nel numero, più disordinata, incapace di combattere se non in pianura e, oltre il resto, assai costosa. Le medesime ragioni insomma che fecero nel mondo moderno prevalere a un certo punto la fanteria sulla cavalleria valsero già nel VI secolo a.C. a trasformare la costituzione degli eserciti.
La riforma è la riforma oplitica, basata sulla forma a falange, e Miller, attento com'era a tutto ciò che è andreia, valore militare, ne dà una giusta descrizione nel fumetto. Gli opliti, chiamati così a causa del grande scudo convesso con cui proteggevano una parte di loro stessi e dei compagni, l'hoplon, dovevano muoversi e agire come un solo uomo; motivo per cui Efialte non poteva far parte della falange. Uno dei primi esempi di formazione oplitica risale alla guerra tra Argo e Sparta per il controllo del Peloponneso. In quell'occasione il re Fidone di Argo batté gli spartani a Hysiae, nel 669. Ma Sparta non impiegò molto ad adottare l'innovazione, e già Tirteo, il grande poeta e condottiero di Sparta, ce ne dà testimonianza durante la Seconda Guerra Messenica, nel VII secolo. Guerra che, tra l'altro, assicurò a Sparta il territorio più vasto tra tutte le polis greche in età classica. Miller fallisce però nel disegnare i nostri opliti, che per lui andavano in giro nudi o quasi: la panoplia, l'insieme dell'equipaggiamento oplitico, era ben più consistente, e comprendeva corazze e schinieri bronzei, oltre che l'elmo a cimiero e lo scudo. Ma Miller probabilmente cerca di restituirci l'immagine della perfezione fisica così come ce l'hanno tramandato gli scultori greco-romani, quindi direi che fa riferimento a una verità meno materiale e possiamo scusarlo. L'efficacia della falange oplitica è testimoniata dal fatto che, per molti secoli, nessuno riuscì a vincerla in combattimento; questo finché non si scontrò con la legione romana. 
Come accennato prima, la riforma oplitica favorì il formarsi di una sorta di uguaglianza tra i cittadini. Eserciti più grandi erano senza dubbio eserciti più efficaci, e chiunque potesse permettersi la panoplia (che in genere era a spese del privato e non della polis) aveva diritto alla cittadinanza. Essi erano gli hopla parechòmenoi. Non però a Sparta, dove la panoplia era a carico dello Stato per l'insieme dei cittadini, gli spartiati. Il mitico riformatore Licurgo, il cui scopo fu trasformare Sparta nella grande caserma di cui si è detto, cercò di formare una società di uguali - gli homoioi - in cui fosse eliminato il lusso, la mollezza e le distinzioni di ceto, in vista di una perfetta integrazione nella falange oplitica. Divise le terre di Sparta in 9000 appezzamenti di terreno, chiamati kleros, e ne assegnò uno a ogni famiglia di spartiati, che all'epoca di maggior splendore dovevano aggirarsi attorno ai 10000 uomini, e che però andarono progressivamente scemando. A Platea Sparta poté schierare 5000 spartiati, non diecimila come scrive Miller; gli altri 5000 erano perieci, cioè sudditi non schiavi delle città della Laconia e della Messenia. Va però detto che le fonti antiche riuniscono l'esercito spartano e chiamano tutti indifferentemente "lacedemoni", quindi il suo è un errore solo a voler essere eccessivamente pignoli.
Quindi, una società di uguali, gli spartiati, che ogni giorno erano tenuti a un pranzo comune con i propri compagni, il sissizio; dove tutti i cittadini avevano potenzialmente accesso a ruoli di direzione della città, come vedremo nel prossimo paragrafo, al contrario di una società rigidamente gerarchica come doveva essere quella dell'Impero Persiano. A Sparta però, nonostante la moneta (rigorosamente di ferro, quindi poco competitiva fuori dalla città, e al contempo dal potere d'acquisto bassissimo all'interno della città) fosse caduta in disuso, e le attività artigianali lussuose e il commercio fossero fortemente scoraggiate, man mano si ricrearono delle disparità di censo, che conseguirono nella già citata diminuzione del numero degli spartiati e, alla lunga, causarono la caduta della potenza militare di Sparta. L'entropia è ovunque in agguato, persino nella patria dei 300.
Per completezza, segnalo che, in seguito alla riforma oplitica, la cavalleria perse di ogni importanza... tranne in Tessaglia, dove le cavalle ingravidate dal vento erano ritenute le migliori della Grecia, e fino alla seconda riforma dell'esercito, quella tebana, che inquadrò diversamente la falange e riprese a utilizzare la cavalleria.



LE ISTITUZIONI
Innanzitutto, l'ambasceria. All'inizio di 300, nel celeberrimo flashback di Leonida, l'ambasciatore persiano e la sua scorta sono gettati in fondo a un pozzo (aneddoto sostenuto dalle fonti). L'ambasciatore, dopo essere stato minacciato, lamenta "Nessuno, né persiano né greco, minaccia un ambasciatore!" Ecco, questo non era affatto vero, perlomeno in Grecia.
Quelli che noi chiamiamo ambasciatori, nel senso di rappresentanti di uno Stato in territorio straniero, in Grecia si dividevano in due gruppi. L'ufficio della prossenia funzionava in questo modo: un cittadino di una città X accettava di rappresentare i cittadini della città Y in visita a X, in cambio di onori e ricompense dalla città Y. Particolarmente importanti furono i prosseni ateniesi nelle città della Lega Delio-Attica, di fatto impero marittimo ateniese, che fungevano da spie e contribuivano a mantenere saldo il controllo della polis sulle sue "alleate". Ma l'ambasciatore persiano non è tra questi. La sua figura si avvicina di più - nonostante non sia propriamente greco, ma ne parlo per comprendere i processi mentali di Leonida a riguardo - alla figura del présbys/presbeutaì, una parola che significa anziano, e che corrisponde alla seconda funzione dell'ambasciatore, cioè di un cittadino di una città Y mandato nella città X a sostenere le ragioni della città Y. Ad Atene, ad esempio, i présbys erano funzionari della polis con un mandato molto limitato, quello di persuadere le assemblee delle città o i capi degli Stati ad accettare le proposte e le argomentazioni di Atene. Non avevano possibilità di mercanteggiare e non rappresentavano nessun potere - persino gli autokràtores, i plenipotenziari, non avevano facoltà di negoziazione. E, benché tecnicamente il loro ruolo fosse posto sotto la protezione di Zeus Xeniòs, garante dell'ospitalità, non era affatto raro che fossero picchiati o persino uccisi. Sì, sarà stata un'empietà, ma i greci prendevano molto sul serio la realpolitik.
La monarchia, adesso. In fondo Leonida è la cosa che più si avvicina a un protagonista, in 300 - sebbene la forma corale dell'impresa e della filosofia spartana siano tradotte in un fumetto che fatica a trovare un protagonista definito. Sparta fu una delle pochissime realtà greche a conservare la monarchia dai Secoli Bui (quel periodo che va dalla caduta della civiltà micenea all'VIII secolo a.C., di cui non abbiamo testimonianze dirette). Purtuttavia non la lasciò immutata: e in effetti Sparta è nota per essere una diarchia, cioè uno Stato formalmente governato da due re, appartenenti alle famiglie degli Agiadi e degli Euripontidi - che solo in tarda età divenne (o tornò a essere) una monarchia semplice. La teoria per cui entrambe le famiglie discendevano da una singola stirpe regale è smentita dal fatto che i loro terreni di sepoltura sono divisi; rimane viva la teoria secondo cui la diarchia nacque come accordo tra differenti gruppi stanziati in Laconia. Vero è che uno dei due re, quando Sparta era in guerra, conduceva l'esercito (adiuvato, però dopo le Guerre Persiane, da due efori), e l'altro rimaneva a proteggere il suolo patrio.
Ora gli efori. Che non sono otto, come appare in una tavola del fumetto, bensì cinque. Ma l'eforato è l'istituzione spartana su cui Miller si è preso più libertà.
Gli efori erano magistrati eletti, non è chiaro se dall'apella (l'assemblea di tutti i cittadini, ma non pare plausibile, dato che i suoi poteri, al contrario dell'ekklesìa ateniese, erano estremamente limitati) o dalla gherousìa (l'assemblea dei trenta anziani), scelti tra la cittadinanza. Non erano né vecchi né malati, e sicuramente non erano "sacerdoti degli antichi dèi". Infatti, sebbene in tutte le polis la funzione religiosa fosse eminentemente politica e molti magistrati avessero compiti religiosi, il ruolo di sacerdote era già allora indipendente. Avevano svariati compiti, che andarono aumentando tra il IV e il III secolo a scapito di quelli dei re: innanzitutto presiedevano le due assemblee, accoglievano gli ambasciatori stranieri, deliberavano sull'entrata in guerra di Sparta, predisponevano gli arresti contro chi, a loro giudizio, avesse attentato alla polis, servivano come corte di giustizia senza appello per i casi di competenza finanziaria. Soprattutto, riuniti con la gherousìa e con uno dei due re, potevano giudicare l'altro sovrano. Erano in tutto i rappresentanti della città, come dimostra lo scambio di giuramenti tra loro e i re, in rappresentanza della città e della monarchia. Il loro immenso potere era bilanciato solo dalla durata annuale del loro magistero, dalla collegialità e soprattutto dalla non rieleggibilità. Di certo non erano i residui dei tempi antichi che Leonida sostiene che fossero. Anzi, è addirittura dubbio che fossero stati istituiti dopo Licurgo, come affermano ad esempio Aristotele (Pol., 5, 11, 1313 a 25) e Plutarco (Lic., 7, 1). Inoltre i re di Sparta erano sì tenuti a consultare gli oracoli, ma a tale scopo avevano due funzionari a testa, i pythioi, che si interfacciavano col santuario di Delfi, la grande culla della religiosità greca - il cui oracolo era però davvero una ragazza, per l'appunto la pizia. Insomma, l'unica cosa che Miller sembra aver azzeccato è che nessuno a Sparta, neanche i re, era superiore alle leggi. Senofonte parla a tal proposito di patti (synthékai) stabiliti da Licurgo tra i re e la città, che proteggevano i primi da sollevamenti dei cittadini, e i secondi dal dispotismo dei sovrani.
E le Carnee, feste in onore di Apollo Carnio, erano senz'altro autentiche. Già impedirono agli spartiati, pur ansiosi, di partecipare alla fondamentale Battaglia di Maratona, al termine della Prima Guerra Persiana (vinta dagli ateniesi), e si ripresentarono durante la Seconda. Ricordo però di aver letto da qualche parte - ma non riesco a rintracciare la fonte - che gli Efori non fossero a priori contrari all'entrata in guerra di Sparta. Solo, non condividevano la strategia di Leonida, che voleva impedire ai persiani di entrare in Grecia passando dalle Termopili; loro avrebbero preferito affrontarli sull'istmo di Corinto, a salvaguardia del solo Peloponneso.
Per finire, la sorte di Efialte, che non era propriamente spartano in quanto originario di Eraclea Trachinia, che era però una colonia dorica. Erodoto non ci dà indicazioni sul suo aspetto fisico, ma Miller non sbaglia a disegnarlo gobbo: un po' il suo nome, che in greco significa "incubo", un po' l'abitudine dei greci a far coincidere l'idea di bello con quella di valoroso (kalòs kai agathòs), un po' per l'impatto sulla trama del fumetto, che carica il personaggio di una sua tragicità. Efialte, appena appare, ci ricorda che i bambini spartani venivano esaminati ancora in fasce e, se considerati imperfetti, uccisi. Così era, infatti: la perfezione fisica era l'essenziale per un cittadino di Sparta, in un luogo dove cittadino e soldato dovevano essere sinonimi. Fede la prof.ssa Gabriella Poma, docente di Antichità Greche e Romane all'Università di Bologna:
[...] L'interesse pubblico dominava la vita dello spartiata, fin dal momento della nascita, poiché la pòlis poteva eliminare il neonato, se ritenuto debole ed inadatto alle funzioni militari cui sarebbe stato chiamato, esponendolo sul monte Taigeto.



LA GUERRA
Giustamente Leonida, quando presenta il suo piano agli Efori, dice che l'esercito persiano si vanta di avere un milione di soldati, ma anche che sono sicuramente cifre esagerate. Qui è Miller a essere nel giusto e le fonti a sbagliare. Un tocco di colore da Momigliano:
[...] Erodoto, che scrisse la storia di queste guerre persiane, ci parla di milioni di uomini [...]. Tutti gli studiosi moderni sono d'accordo nel non credere alle sue cifre fantastiche: basti dire che un tale esercito non avrebbe trovato di che nutrirsi e che, dato il ristretto numero di soldati che poterono passare contemporaneamente sui due ponti di barche fatti costruire da Serse sullo stretto dei Dardanelli per trasportare l'esercito in Europa, quando l'avanguardia fosse già stata in Macedonia la retroguardia sarebbe ancora stata in Asia!
Sparta, come abbiamo visto, produceva i migliori soldati dell'antichità. Scrive la prof.ssa Poma:
[...] La città non aveva cinta di mura - caso raro nell'antichità -, era aperta sul territorio, difesa dall'esercito dei suoi cittadini a tal punto possente che la pòlis spartana subì una sola invasione grave, quella dei Tebani nel 370 a.C.
Una città in cui tutti i cittadini erano soldati, e alla guerra dedicavano ogni momento della propria vita, sollevati dall'agricoltura dall'uso degli schiavi iloti e dell'artigianato e del commercio dai sudditi perieci. E non è sbagliando che Miller fa dire a Leonida di aver portato più soldati degli arcadi, che li superavano sì in numero ma le cui schiere erano composte da semplici cittadini prestati alle armi. Sparta è, per quanto ne so, l'unico esempio di città-stato greca, in quell'epoca, a possedere un esercito professionista, nel senso che di mestiere tutti i suoi abitanti erano membri dell'esercito (sebbene in tutte le polis fosse obbligatorio prestare servizio militare, con conseguente addestramento, per un certo periodo della propria vita; e poi si tornava a fare il mestiere dei propri padri). L'importanza della guerra per Sparta è testimoniata dai detti memorabili, molti dei quali riutilizzati da Miller in 300. Ne ricordiamo uno, che ci tramanda Plutarco, attribuito a una madre che dà lo scudo al figlio in partenza per la guerra (nel fumetto, invece, a parlare è Gorgo, che si rivolge a Leonida): 
Torna con questo o sopra di questo.
Sparta non conosce sconfitta o ritirata. Tutta la sua esistenza si svolge attorno a un unico pensiero, quello della guerra. Già Aristotele (7, 14, 1334 a 5), che per altri versi è ammirato dal sistema politico spartano, ci mette in guardia a tal proposito:
[...] la grandissima maggioranza degli stati militaristi rimangono in piedi quando combattono, crollano quando hanno conquistato un impero; in tempo di pace perdono la tempra come il ferro.
Uno Stato che si è spento sotto il suo dispotismo, che è morto per via del suo essere perfettamente chiuso e della crescente disparità di ricchezza tra i suoi homoioi; una città su cui si sono spese molte parole, ma di cui non rimangono che poche tracce: questo era lo Stato più militarmente perfetto dell'antichità, almeno fino all'ascesa di Tebe, della Macedonia e infine di Roma. Stat Sparta pristina nomine: nuda nomina tenemus.


UNO STATO DI SCHIAVI
Come scrivevamo prima, la retorica classica, e di conseguenza quella di Miller, la Grande Narrativa dello scontro greci vs persiani è quella di uomini liberi vs schiavi. Il che è forse vero a un certo livello, considerando la possibilità di una partecipazione diretta alla politica delle città-stato per tutti i cittadini greci (un tipo di democrazia a cui neppure noi abbiamo accesso, e che è possibile solo avendo da gestire piccole quantità di cittadini) contrapposta alla gerarchia imperiale e alle intricate abitudini di corte dei persiani. Cittadini vs sudditi, quindi: legittimo. Ma è ironico che, in effetti, sotto la dinastia achemenide la Persia non conoscesse la schiavitù in senso proprio: Paul Cartledge, professore di Storia Greca a Cambridge, afferma che Ciro il Grande la abolì. Al contrario, in Grecia la schiavitù era una pratica diffusa - sebbene ci fossero varie leggi che preservassero i cittadini dal rischio di schiavitù, queste leggi non si estendevano, ad esempio, alle popolazioni sconfitte in guerra, o agli stranieri -, e Sparta in particolare era una città-stato che si reggeva sul lavoro degli schiavi.
La schiavitù a Sparta era di un tipo particolare, che la prof.ssa Poma definisce "schiavitù collettiva". Gli iloti, gli schiavi, erano una popolazione (o forse due popolazioni, una dalla Laconia e una dalla Messenia) ridotta in schiavitù dai Dori durante la loro espansione militare; una forza che si autoperpetrava, costantemente ridicolizzata, legata alla coltivazione della terra da cui gli spartiati - i cittadini a pieno diritto - erano esentati, la cui liberazione dipendeva non dal padrone ma dall'assemblea dei cittadini, dato che erano schiavi di Stato. E proprio la presenza degli iloti, che da un certo punto di vista permetteva a Sparta di avere l'esercito meglio addestrato della Grecia, le impediva di espandere più di tanto il proprio dominio: gli iloti erano una minaccia costante all'interno del suolo patrio, e i re di Sparta furono sempre restii a impegnare i propri eserciti lontano dal Peloponneso, o troppo a lungo, per timore di rivolte (come quella che avvenne nel 464 a.C. a seguito del terremoto che distrusse Sparta). Gli iloti erano più numerosi degli spartiati, che al contrario, come si è detto, erano in costante diminuzione - anche se il rapporto numerico che ci suggerisce Erodoto (9, 10, 29) di sette a uno appare eccessivo. Due dati possono renderci l'idea della terribile realtà dell'ilotismo (terribile sia per gli iloti sia, a ben vedere, per gli spartiati, che vivevano nella costante paura delle loro rivolte): il primo, che gli Efori, all'inizio del loro anno in carica, dichiaravano guerra rituale agli iloti da parte di Sparta - e perciò gli spartiati condividevano le terre con nemici dello Stato; il secondo, l'esistenza dell'istituzione della krypteìa (Plutarco, Lic., 28, 3-7), la caccia rituale alla fine dell'agoghé, in cui i migliori tra i giovani spartiati si aggiravano per la Laconia in cerca di iloti allo scopo di ucciderli. Plutarco vede in questa usanza un'impronta di tipo poliziesco; Platone (Leggi, 1, 7, 633 b-c) parla invece di una prova di resistenza. Oggi si preferisce pensare a una prova di tipo iniziatico, posta a conclusione dell'agoghé e all'entrata della vita adulta; anche se questa ipotesi stona col dato che non tutti i giovani, ma solo i migliori, erano coinvolti nella krypteìa.
Ironico, dicevo, che Sparta, e non la Persia, fosse a rigor di termini uno Stato di schiavi. Ancora più ironico che proprio Sparta, nel 413 a.C., e cioè quasi settant'anni dopo la fine della Seconda Guerra Persiana, avesse offerto alla Persia l'occasione di rimettere becco negli affari della Grecia. Sparta all'epoca stava combattendo, con fortune alterne, la Guerra del Peloponneso contro Atene. La superiorità di Sparta negli scontri di terra era bilanciata dalla maggior ricchezza di Atene, e dalla potenza della sua flotta. Sparta chiese aiuto alla Persia, e in cambio le permise di occupare di nuove le città greche d'Asia, proprio quelle che erano state liberate durante le Guerre Persiane. In quello che si configura come un vero e proprio tradimento dell'ideale della libertà greca, la Persia sovvenzionò Sparta, che sotto il generale Lisandro creò una flotta abbastanza grande da poter rivaleggiare con quella ateniese. La Guerra del Peloponneso si risolse nella vittoria di Sparta nel 404 a.C. Sparta però non poté approfittare della sua posizione egemone: Atene non impiegò molto a risollevarsi, e soprattutto l'aver lasciato le città d'Asia in balia dell'imperatore persiano pesava come un macigno sulla coscienza degli spartiati. Quando Ciro il Giovane, satrapo e fratello del re Artaserse II, decise di muovergli guerra per conquistare il trono (come ci racconta Senofonte, naturalmente nell'Anabasi), re Agesilao di Sparta si unì alla lotta. La morte di Ciro a Cunassa nel 401 a.C. metteva fine all'impresa; i pochi soldati di Sparta, pur vincitori sui campi di battaglia, non potevano occupare stabilmente i territori greci dell'Anatolia, e dovettero ritirarsi.
Per quanto riguarda gli iloti, con la crescente diminuzione degli spartiati, va detto che Sparta dovette rivolgersi ai sudditi perieci e agli stessi iloti per mantenere la propria potenza militare. Alcune truppe scelte di iloti vennero impiegate in guerra a fianco delle falangi spartiate, e in cambio ricevettero la libertà (sebbene non la cittadinanza: erano inquadrati in una categoria ad hoc, i neodamòides). Ma una totale integrazione degli iloti nello Stato spartano non avvenne mai. E all'orizzonte cresceva la potenza di Roma.


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Vi consiglio di recuperare 300, uno dei capolavori del fumetto anglosassone, e di non accontentarvi del film. Vi sconsiglio altrettanto caldamente di comprare il "seguito", scritto e disegnato sempre da Frank Miller, Xerxes: La caduta della Casa di Dario e l'ascesa di Alessandro, per motivi di cui discuto sulla mia pagina Instagram, ma che riassumerò dicendovi che è molto frettoloso e molto deludente. Se però 300 vi ha lasciato con un languorino in bocca, ecco una sorpresa: compratevi 299+1, la parodia di Leo Ortolani di 300: un'opera che non solo vi farà sganasciare dalle risate, ma vi farà rivivere l'epicità del fumetto di Miller, e vi riserverà grandi sorprese. Non scherzo quando dico che è il vero seguito spirituale di 300.
Così finisce questo articolo. Mi sono voluto concentrare sulle inesattezze (o, viceversa, sulle esattezze) di 300 in relazione alle istituzioni spartane e alla retorica della contrapposizione tra greci e persiani. Se siete interessati ad altri errori, ma del film, vi rimando alla pagina Wikipedia relativa, che è molto gustosa. Se invece l'articolo vi è piaciuto, condividetelo sui social e iscrivetevi alla pagina Facebook del blog. A presto, Veri Credenti!



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*Talete, Anassimandro e Anassimene, i primi filosofi di cui abbiamo notizia, erano tutti originari di Mileto, in Asia minore; Pitagora invece era di Crotone. Per la politica, la tradizione antica attribuisce la compilazione del più antico codice di leggi a Zaleuco di Locri, in Calabria; e, se la sua esistenza è stata messa in dubbio, siamo certo che esistette perlomeno Caronda di Catania, un altro dei più antichi legislatori. Se poi pensiamo che la commedia sembra sia nata in Sicilia con Epicarmo, e l'oratoria attica si sia ispirata a modelli siciliani, quelli che Gorgia di Leontini apprese da Empedocle, in un'ipotetica lista delle preminenze greche fuori dalla Grecia, alla politica e alla filosofia si assommerebbero il teatro e l'oratoria.





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