Ma gli argentini sognano ovejas eléctricas?

Già nello scorso appuntamento di Ma gli italiani sognano pecore realiste? avevamo letto le parole di un grande scrittore che ci parlava, attraverso il muro degli anni, in difesa del fantastico. Oggi, nello stesso spirito, vi propongo un'altra voce: quella di Jorge Luis Borges. Chi fosse Borges, per i lettori che colpevolmente lo ignorano, sarà materia per un altro e più complesso articolo: vi basti sapere che è stato uno dei maggiori letterati del secolo scorso.

Entrambe le citazioni sono tratte da prologhi che Borges scrisse per libri di altri. La prima - in originale - si trova nell'edizione argentina di Cronache Marziane di Ray Bradbury (1955), e la seconda in L'Invenzione di Morel del suo caro amico Adolfo Bioy Casares (1953). Quest'ultima contrappone la letteratura "psicologica" a quella "d'avventura"; ma essendo la psicologica una variazione di quella realistica ed avendo Borges, tra gli avventurosi, ricordato L'asino d'oro, i Sette viaggi di Sindbad e altri, direi che possiamo, dati gli ovvi distinguo, considerare i suoi argomenti validi anche per la nostra tesi: che la letteratura fantastica non sia inferiore a quella realistica.
Iniziamo. Innanzitutto Borges ci dice che
Ogni letteratura [...] è simbolica; esistono poche esperienze fondamentali ed è indifferente che uno scrittore, per trasmetterle, ricorra al "fantastico" o al "reale", a Macbeth o a Raskolni'kov, all'invasione del Belgio nell'agosto del 1914 o a un'invasione di Marte. Che importano le finzioni, o le fantasie, della science-fiction
Questa, o una tesi simile, il blog l'ha sostenuta fin dal momento della sua fondazione. Basti leggere questo articolo o quest'altro per averne la prova.
Stevenson, intorno al 1882, osservò che i lettori britannici disdegnavano un po' le peripezie e ritenevano maggior abilità scrivere un romanzo senza argomento, o con un argomento infinitesimale, atrofizzato. José Ortega y Gasset - La deshumanizaciòn del arte, 1925 - cerca di analizzare il disdegno notato da Stevenson e stabilisce, a pagina 96, che "è molto difficile che oggi si riesca a inventare una trama in grado di interessare la nostra superiore sensibilità" e, a pagina 97, che tale invenzione "è praticamente impossibile". In altre pagine, in quasi tutte le altre pagine, intercede per il romanzo "psicologico" e ritiene che il piacere per le avventure sia inesistente o puerile. Questa è, indubbiamente, l'opinione comune del 1882, del 1925 e persino del 1940. Alcuni scrittori (tra i quali mi piace annoverare Adolfo Bioy Casares) ritengono sia ragionevole dissentire. [...] il romanzo "psicologico" vuole anche essere romanzo "realistico": preferisce che dimentichiamo il suo carattere di artificio verbale e fa di ogni vana precisione (o di ogni debole vaghezza) un nuovo tratto verosimile. Ci sono pagine, capitoli di Marcel Proust, che sono inaccettabili come invenzioni: a esse ci rassegniamo, senza saperlo, come alla banalità e alla futilità di ogni giorno. 


Sembra quindi impossibile, anche andando a ritroso, da che i francesi e i russi hanno inventato o sdoganato il romanzo psicologico, che l'intellighenzia di un Paese riconosca le pari qualità di quello realistico e fantastico. Ci consoliamo: a riconoscerle sono gli scrittori, col che si intendano i grandi scrittori... ammetteranno i critici (a malincuore?) che anche loro capiscono qualcosa di scrittura.


Tutti gli articoli nella categoria Ma gli italiani sognano pecore realiste? in difesa del fantastico:

  1. Ma gli italiani sognano pecore realiste?
  2. Ma gli italiani sognano (ancora) pecore realiste?
  3. Ancora di italiani e di pecore realiste
  4. Così vasto e intenso


Commenti

Post popolari in questo blog

Che schifo, la tripofobia!

Avete presente C'era una volta in America?

Amleto nella stanza della madre