Religione, trascendenza e corporeità

Come ha osservato Thomas Csordas rifacendosi alla fenomenologia di Merleau-Ponty, ciò che noi umani realizziamo è, prima di tutto, "l'inevitabilità della nostra natura incorporata e i limiti che essa ci impone contribuendo a far sorgere in noi il sentimento che i nostri corpi sono in un certo senso altri da noi" (Csordas, 2004, p. 170). In questo modo l'alterità, più che una dimensione che scaturisce dall'impossibilità di dire o di pensare ciò che alcuni autori identificano con "qualcosa che sta al di fuori", ma di cui noi "portiamo una traccia interiore" (perché siamo fatti della stessa sostanza spirituale), diventa "una struttura elementare dell'esistenza" (ibidem, p. 167). Merleau-Ponty, infatti, aveva concepito il corpo come un "chiasmo" (chiasme), espressione con cui voleva indicare che la materia di cui siamo fatti (la carne, chair) è il mezzo attraverso cui sperimentiamo l'alterità, cioè il mondo esterno a noi e che, tuttavia e al tempo stesso, avvertiamo pur sempre come "altro" rispetto a noi medesimi (Merleau-Ponty, 1964b).
[...] La trascendenza, se è esprimibile in termini di alterità, nasce quindi primariamente nell'esperienza stessa del nostro esistere in un mondo con il quale entriamo costantemente in rapporto attraverso la nostra dimensione corporea, rapporto che rielaboriamo continuamente attraverso forme simboliche capaci di rendere ragione di questo iato tra noi stessi e il mondo - e, se possibile, tentiamo di colmare questo iato attraverso un processo simbolico a cui diamo appunto il nome di trascendenza. [...] Alcune culture pongono un abisso tra il corpo e l'Altro, tra il sé e il diverso da sé, traducendo questo iato in un'idea di "spirito" separato dal corpo.



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