Esempi di capro espiatorio nella narrativa di lingua inglese: da James Frazer a Ursula Le Guin

William Holman Hunt, Il capro espiatorio

Nel più santo dei giorni, lo Yom-Kippur, il "giorno della copertura del peccato" secondo il valore che ha la radice ebraica, una persona, il cui nome non sia stato scritto da Dio nel Libro degli assoluti malvagi o nel Libro degli assoluti santi, espia i propri peccati davanti a Lui e si riconcilia col fratello a cui ha fatto torto. Sebbene dopo la sospensione dei sacrifici animali dell'anno 70 (conseguente alla distruzione del Tempio di Gerusalemme) i precetti biblici in materia non siano stati più osservati, che io sappia, la liturgia dello Yom-Kippur prevedeva il cosiddetto rito del capro espiatorio, divenuto proverbiale. Esso è dettagliatamente descritto in Levitico, 16*. Cito dalla Bibbia delle Edizioni San Paolo:
Dalla comunità d'Israele prenderà due capri per il sacrificio espiatorio [...]. Prenderà i due capri e li porrà alla presenza del Signore, all'ingresso della tenda del convegno e tirerà a sorte i due capri, destinandone uno per il Signore e uno per Azazel. [...] offrirà il capro su cui è caduta la sorte "per il Signore" e con esso farà il sacrificio espiatorio. Il capro su cui è caduta la sorte "per Azazel" lo porrà vivo alla presenza del Signore, per fare su di esso il rito espiatorio, e lo manderà ad Azazel nel deserto.
Immolerà il capro del sacrificio espiatorio per il popolo e ne porterà il sangue dietro il velo e [...] lo aspergerà sul propiziatorio e davanti al propiziatorio. Compirà così il rito espiatorio per il santuario, purificandolo dalle impurità dei figli d'Israele e dalle trasgressioni di ogni loro peccato, e lo stesso farà per la tenda del convegno, che dimora con loro in mezzo alle loro impurità.
Quando avrà finito di compiere il rito espiatorio per il santuario e per la tenda del convegno e per l'altare, faccia avvicinare il capro vivo. [...] imponga tutte e due le mani sulla testa del capro vivo e confessi su di esso tutte le iniquità dei figli d'Israele e tutte le trasgressioni di ogni loro peccato; le metta sulla testa del capro e lo mandi nel deserto, per mezzo di un uomo che è a disposizione. Il capro prenderà su di sé tutte le loro iniquità, portandole verso una regione arida. 
Ecco, in breve, il meccanismo del capro espiatorio. Su di lui vengono caricati tutti i peccati del popolo, e successivamente, per liberare il popolo da essi, viene allontanato dalla città. Possibile, anzi certo, che venisse ucciso, secondo la tradizione gettandolo da una rupe. Così il povero capro soffriva per salvarci dai nostri peccati - e mi sembra che la Chiesa sia restia a collegare il rito del capro espiatorio con quello della crocifissione dell'Agnello di Dio**, che pure ne chiarisce parecchi punti, e anzi rende la parabola di Gesù, a mio parere, ancor più commovente.
Sir James Frazer, nella sua monumentale opera Il ramo d'oro, dedica ampio spazio al rito del capro espiatorio in varie culture***, suddividendolo per l'utilizzo di "capri" inanimati, animali e persino umani. Frazer ha scritto un testo ampiamente impreciso, e giustamente contestato dagli antropologi moderni; tuttavia esso mantiene intatto il suo valore narrativo, e qui per l'appunto non vogliamo fare un'analisi antropologica del rituale, ma accompagnarlo in un percorso narrativo. Per questo, e solo per questo, mi si perdonerà l'utilizzo del testo, la cui importanza diventerà più avanti chiara come probabile fonte per terzi autori. 
Insomma, testimonio Frazer, sembra che ci siano delle costanti transculturali in questo rituale. Faccio un esempio:
Tra i Cafri del Sudafrica, quando ogni altro rimedio è stato vano, i nativi conducono una capra al capezzale del malato e confessano all'animale tutti i peccati del kraal, facendo a volte anche cadere qualche goccia del sangue del malato sulla testa dell'animale, che viene poi relegato in un'area disabitata del veld affinché la malattia, in esso trasferita, si perda nel deserto.
Il capro, la confessione dei peccati, l'allontanamento nel deserto. Particolare interesse riveste poi, per il presente articolo, il capitolo dedicato ai capri umani. Già nell'antica Roma veniva sacrificato Mamurio Veturio, il vecchio Marte, all'inizio dell'anno romano; e dobbiamo ricordarci che Marte, prima di essere assimilato ad Ares e diventare un dio della guerra, era probabilmente un dio della vegetazione; cosicché la sua morte e resurrezione ben si adattano allo schema che Frazer adotta nel suo libro. Per quanto riguarda i sacrifici umani in Grecia, citerò un passo che mi ha fatto commuovere:
Ogni volta che a Marsiglia, una delle più operose e brillanti colonie greche, scoppiava un'epidemia, un individuo appartenente alle classi più misere si offriva come capro espiatorio. Per un anno intero veniva mantenuto a spese dello Stato e nutrito con cibi sani e raffinati. Allo scadere dell'anno, rivestito con i paramenti sacri e ornato di sacre fronde, veniva condotto in giro per le strade, mentre si innalzavano preghiere affinché tutti i mali della gente ricadessero su di lui. Poi veniva scacciato dalla città, o lapidato a morte fuori dalle mura.
Ora, di capri espiatori parlano indubitabilmente due famosi racconti - entrambi molto brevi - di due delle più importanti scrittrici americane contemporanee****. Si tratta, in ordine di pubblicazione, di La lotteria di Shirley Jackson (pubblicato sul New Yorker il 26 giugno del 1948) e di Quelli che si allontanano da Omelas di Ursula Le Guin (pubblicato su New Dimensions nell'ottobre del 1973, Premio Hugo nel 1974). William James - noto filosofo e psicologo, fratello dello scrittore Henry -, nell'articolo The moral philosopher and the moral life si chiede:
[...] se ci venisse offerta l'ipotesi di un mondo in cui le utopie dei vari Fourier e Bellamy e Morris venissero tutte superate e milioni d'individui venissero mantenuti della continua felicità alla semplice condizione che una certa anima perduta, al limite più lontano delle cose, conducesse una vita di solitario tormento, che cosa se non un'emozione specifica e indipendente può essere ciò che ci farebbe immediatamente sentire - anche se dentro di noi sorgesse l'impulso di afferrare la felicità così offerta - quanto sarebbe odioso goderne quale frutto deliberatamente accettato di tale mercato?

La lotteria racconta, nello stile mirabile della Jackson, di un paese dell'America rurale in cui, un giorno come tanti, tutti gli abitanti si riuniscono e partecipano a un'estrazione. Il clima è sereno, per lo più, anche se si avverte una certa tensione in alcuni passaggi del testo. La lotteria è un rituale antico, che alcuni paesi stanno progressivamente abbandonando. Il Vecchio Warner è sdegnato da questa notizia: associa il rituale alla civiltà, e predice che se lo si abbandona si finirà a vivere nelle caverne. Fa anche un fugace riferimento alla ricchezza del raccolto, in qualche modo legato alla lotteria - il che naturalmente ci riporta alle teorie di Frazer sulla morte e la rinascita dell'uomo-dio. Alla fine il vincitore è estratto: ed esso - anzi, essa - viene lapidata coi sassi precedentemente ammonticchiati dai bambini. Da notare che, come nello Yom-Kippur, anche per questo rituale è previsto un sorteggio: un dettaglio che mi pare rilevante, dato che è attraverso i giochi di fortuna che ascoltiamo la voce di Dio. Scrive Gabriella Poma (Le istituzioni politiche della Grecia in Età Classica):
La pratica del sorteggio, antichissima, già presente nell'Iliade e in molti miti, era carica, almeno in origine, di una forte valenza religiosa, in quanto significava rimettersi alla volontà del dio; tale spirito ritorna in Platone stesso [...] che non esita a proporla nelle Leggi per la designazione dei sacerdoti (6, 7, 759 b): "si lascerà il dio stesso indicare le sue preferenze tirandoli a sorte".
Quelli che si allontanano da Omelas parla di una città, Omelas, perfettamente felice. La voce narrante si rivolge a noi come se se la stesse immaginando: potrebbe essere così, o cosà, oppure ancora diversamente, ma è la gioia il tratto caratteristico di tutti i suoi abitanti. Ad Omelas si sta festeggiando qualcosa - ed è dubbio se i festeggiamenti siano continui, o se la voce narrante la stia immaginando durante una festa specifica. Omelas, siamo avvertiti, sembra irreale: ma forse, se la voce aggiungesse qualcosa, ci parrebbe più concreta. Ecco cosa aggiunge: sotto una delle case di Omelas c'è una cantina, e in quella cantina una stanzetta buia e umida, e in quella stanzetta un bambino malnutrito, circondato dagli escrementi, costantemente impaurito dagli asciugamani sozzi e odoranti con cui si pulisce. La sua detenzione è resa ancora più terribile dal fatto che ricorda com'era essere fuori dalla stanza, e l'amore di sua madre. Ora, tutte le persone di Omelas sanno di quel bambino, ma nessuna fa nulla per salvarlo; anzi, molti vengono a vederlo, per curiosità, e poi se ne vanno. Sanno che Omelas sarà perfettamente felice fintantoché quel bambino sarà perfettamente infelice. Ci sono però alcuni che non riescono a sopportare questa ingiustizia. Coerenti con il credo della Le Guin, non cercano di liberare il bambino o di iniziare una rivoluzione nelle strade di Omelas; però non riescono a godere di una felicità ottenuta al prezzo di un innocente e, non potendo assumere su di sé il peso della scelta a nome di tutti gli abitanti (e infatti, a quel punto, che differenza ci sarebbe tra loro e chi ha imprigionato il bambino?) si allontanano da Omelas, verso dove non si sa. A loro vanno le evidenti simpatie dell'autrice.
Ora, sicuramente Le Guin, figlia di due noti antropologi, conosceva Frazer, anche se non lo cita nel suo commento al racconto. Possiamo vedere che descrive Omelas come una città in festa; e Frazer nota che al rito del capro espiatorio sono spesso associati periodi di sregolatezza, di allontanamento dalle normali leggi e precetti morali che regolano la vita della comunità, come ad esempio le feste dei Saturnali presso i romani (un'eccezione sembra essere rappresentata proprio dallo Yom-Kippur, che è associato al pentimento e al digiuno). Inoltre conosceva anche il racconto della Jackson, a cui suo padre non risparmiò ampie critiche; e mi stupirei se esso non avesse esercitato un'influenza su di lei. 
I motivi che spinsero Jackson e Le Guin, o se vogliamo guardarla da un altro punto di vista le isotopie delle loro storie, sono probabilmente diversi. La Jackson voleva raccontare, nelle sue parole, "la violenza senza senso e la disumanità generale" dei suoi contemporanei. I motivi della Le Guin sono invece meno chiari. Nel suo commento al racconto parla di un "dilemma della coscienza americana", e da questo accenno molti hanno pensato che la descrizione della felicità di Omelas sia in realtà una trasfigurazione della felicità americana, e diciamo più in generale della felicità occidentale, costruita sulle spalle del Terzo Mondo. In entrambi i casi, sia ad Omelas sia in occidente sappiamo che la nostra felicità dipende dall'infelicità altrui, a cui risucchiamo risorse, a discapito di cui, in un gioco coloniale e post-coloniale, costantemente ci arricchiamo. L'unica differenza è che, nel mondo reale, è una minoranza che prospera grazie al sacrificio di una maggioranza. 

Shirley Jackson

Quindi sia Jackson che Le Guin ci mettono di fronte a un importante quesito, che è poi lo stesso di William James, anche se il pietoso James sembra anticipare la nostra risposta descrivendo il sentimento che susciterebbe in noi una simile eventualità. Un terzo racconto, stavolta di Richard Matheson, del 1970, Il Pulsante, ruota attorno a una variante del problema: solo che lì è tutto più semplice, e i protagonisti devono decidere se premere un pulsante che farebbe loro guadagnare cinquatamila dollari ma che al contempo decreterebbe la morte di un altro essere umano. Insomma, sembra che questi racconti ci chiedano se noi saremmo disposti a sacrificare uno sconosciuto in cambio della nostra felicità.
Tristemente, temo che la storia ci abbia insegnato che la risposta a questa domanda è sì, forse non per tutti noi ma quasi. E dico "noi" con la consapevolezza di non potermi togliere dal gruppo. Voi cosa pensate a tal proposito?


[ DISCLAIMER: Del capro espiatorio hanno trattato, tra gli altri, anche scrittori come Dostoevskij e Pennac, ma l'uno in lingua russa e l'altro in lingua francese. Per questo motivo non sono stati inclusi nell'articolo. ]



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*Nel Talmud allo Yom-Kippur è dedicato un trattato, lo Yoma. Io posseggo una raccolta critica di testi talmudici, ma tra questi non c'è lo Yoma. Sono perciò costretto a ignorarlo nella scrittura di questo articolo, vista anche la funzione solo introduttiva dei paragrafi che lo interesserebbero.
**Un collegamento che invece fa la Lettera di Barnaba (dello pseudo Barnaba), uno dei testi apocrifi legati al Nuovo Testamento.
***Lessi Il ramo d'oro durante il mio primo anno di università. Frazer dedica alcune pagine al rituale del capro espiatorio divino, quando cioè ad essere sacrificato è l'uomo-dio. Non mi pare che citi apertamente Gesù (potrei sbagliarmi: son passati dieci anni), ma quando lessi questi passaggi alcune cose che mi erano sempre parse misteriose nella fede cristiana divennero immediatamente chiare. Frazer ipotizza che il sacrificio del capro espiatorio divino sia emerso dall'unione di due rituali distinti, quello dell'uccisione periodica dell'uomo-dio - con conseguente rinascita legata ai cicli stagionali - e quella del capro espiatorio propriamente detto.
****Forse non è un caso che siano americane. Potrei osservare che l'America, la più giovane tra le nazioni europee, è così assetata di radici e tradizioni e curiosità antropologiche che è costretta a inventarle.

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