Almeno un'ora al giorno


Per due mesi non ho scritto una riga.
Quello che vi sto confessando per me ha una certa importanza. E una certa gravità. Per anni, diciamo da dieci anni, non sono mai stato tanto a lungo senza aver scritto qualcosa: un racconto, qualche pagina di un romanzo, un saggio breve. Che poi la maggior parte di ciò che ho scritto non fosse granché, bene, lo accetto: ho sempre pensato che finché scrivevo non potevo che migliorare, e la cosa mi sembrava abbastanza. L'atto stesso della scrittura, per me, rappresentava quella che per altri potrebbe essere una palestra, o una corsa mattutina. Era sia una valvola di sfogo, che credo mi abbia mantenuto sano di mente dall'adolescenza fino ad oggi - benché io abbia rarissimamente scritto qualcosa di biografico -, sia un modo per rendere me stesso l'uomo che ho sempre desiderato essere (chi, adesso ve lo dico). Non ho mai perso di vista il mio obiettivo: ogni parola che battevo sulla tastiera del mio computer, anzi dei miei computer, visto che ne ho usati almeno quattro, tra fissi e portatili per le vacanze, mi avvicinava un po' di più alla realizzazione del mio sogno. Che è essere uno scrittore. Meglio se pubblicato, col che intendo "retribuito in base ai miei meriti". Quello che voglio, insomma, è creare, e creare cose belle. Lo stesso pensiero che accomuna, credo, pittori, musicisti e ogni genere di artista. Nel mio caso il modo per creare la bellezza non è attraverso un'esecuzione perfetta del Canone in re maggiore di Pachelbel o altro, ma attraverso l'accostamento di parole, l'equilibrio della frase, la verosimiglianza e la tenuta dell'intreccio, la veridicità dei personaggi, il puro e semplice senso di meraviglia che si prova a leggere una storia ben fatta.

Comunque voi godetevelo


Per dieci anni, quindi, si diceva, ho scritto quasi ininterrottamente. Una o due volte la settimana, è vero, che molti considererebbero poco, ma senza mai pause considerevoli tra una sessione e l'altra. E quando non scrivevo in genere leggevo, o studiavo per scrivere meglio. Era tanta la mia foga che spesso i miei progetti si accavallavano, e ne abbandonavo uno per seguirne un altro (anche se non credo di aver mai abbandonato un progetto che non se lo meritasse; tranne forse un paio, che però mi riprometto di riprendere in mano prima o poi). Quando scrivevo entravo in uno stadio che si chiama "flow", in psicologia, flusso se vogliamo, uno stato d'attenzione prolungata che si instaura durante un'attività finalizzata, molto piacevole, e che spesso si raggiunge in situazioni di totale immersione, come ad esempio quando si gioca a un videogame. Il semplice atto della scrittura mi ricompensava, e rafforzava il mio desiderio di scrivere.
Poi, all'improvviso, il nulla. Ero come svuotato. Ho finito un lavoro, un racconto lungo, che nel 2018 dovrebbe essere pubblicato in ebook da un Editore di cui, per il momento, non voglio fare il nome; ho messo giù la penna - anzi, ho chiuso il pc, e non l'ho più riaperto. Ho anche smesso di scrivere il piccolo zibaldone che tengo sulla scrivania, che all'inizio dell'anno avevo iniziato ad aggiornare con pensieri, idee, piccoli paradossi, proposte, e tutto ciò che non trovava spazio qui o nei miei tentativi di narrativa. Riuscivo giusto ad aggiornare il blog una volta a settimana. Il nuovo lavoro, un lavoro vero, pagato, che non c'entra molto con la scrittura ma che mi serve per mangiare, mi prosciugava le energie, acuiva il mio stress e diminuiva sensibilmente il tempo a mia disposizione per leggere e scrivere. Cercavo di buttare giù qualcosa ma dopo le prime righe dovevo lasciar perdere. 


Prima d'ora non avevo mai sperimentato un blocco dello scrittore, anche se supponevo bene che potesse succedermi. Non riuscivo a uscirne, e già dopo il primo mese iniziavo a sentire che sarei soffocato se non mi fossi... sbloccato. Poi mi sono ricordato una cosa: spesso i grandi scrittori, nei loro consigli, dicono che è importante scrivere almeno qualcosa al giorno tutti i giorni. Prima imporselo come regola, e insistere finché non diventa una buona abitudine. Ancora una volta credo che sia lo stesso principio del jogging. Ho pensato fosse una buona idea; ho recuperato, dal mio schedario, l'idea per un romanzo per ragazzi che avevo avuto tempo fa (non c'è nulla di meglio, per creare meraviglia, che scrivere un bel romanzo per ragazzi. Chiedetelo a C.S.Lewis) e ho iniziato a buttare giù le prime pagine. Questo succedeva una settimana e mezza fa, e da allora mi prendo un'ora al giorno per farlo. Così ho ricominciato a scrivere. Oggi - cioè ieri, domenica 13 - eccezionalmente ho investito la mia ora di scrittura (che poi, a dire il vero, sforo sempre: è un'ora e un quarto, un'ora e venti) per redigere l'articolo che state leggendo. A parte questo ho battuto 47405 caratteri spazi esclusi in dieci giorni. Non so se siano molti o pochi, o se magari, più probabilmente, siano la media; ma non sono abituato a fare gare di velocità con nessuno, tanto meno con me stesso. Mi bastano 47405 caratteri. E soprattutto mi basta essere tornato a scrivere, finalmente. Aver ritrovato il flusso.




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