Cose sacre

Dopo la puntata di Fuorilinea, coda culturale del Tg3 che va in onda di domenica, del 17 marzo scorso, che aveva trasmesso un servizio sul Museo di Leopardi allestito nella sua dimora avita, con un certo divertimento mi ero segnato questi appunti:
Alla casa di Recanati:
frammento della sua ultima veste
scheggia della bara
scrivania dove ha scritto l'Infinito 
Sebbene capisca la curiosità di vedere la scrivania dove sono stati scritti i versi più celebri della poesia italiana, non tanto perché le virtù della seconda siano in qualche modo penetrate nella prima ma perché così vien più facile immaginarsi la scena, gli altri reperta mi pare che esulino dall'interesse "accademico" e sfocino nell'idolatria pura e semplice. Una scheggia della bara e un frammento dell'ultimo vestito che aveva indossato Leopardi, neanche fosse Gesù. La curatrice del museo dice che quelle reliquie servono a far sentire più vicino il visitatore al poeta, ma anche così...

Giacomo Leopardi

Il culto delle reliquie non è nuovo, anzi. Tralasciamo gli idola pagani, di cui non so molto, e concentriamoci sul cristianesimo. Ecco qualche dato essenziale:
1) La testimonianza più antica del culto dei santi risale al 23 febbraio del 155 (o 156), quando, dopo la martirizzazione di Policarpo vescovo di Smirne, i cristiani raccolsero le sue ossa e le deposero "lì dove era il rito". La più antica traslazione, lo spostamento delle reliquie di un santo cioè, risale invece al 351, quando il corpo di San Babila fu trasportato ad Antiochia dal luogo della sua sepoltura, in un'area precedentemente dedicata al culto di Apollo. Da notare che, nonostante la legge vietasse questi spostamenti (a Roma la legge sopravvisse fino all'VIII secolo, soprattutto grazie all'impegno dei pontefici a cui non piaceva l'idea che gli portassero via i martiri da sotto casa), fu l'imperatore Costante II, figlio di Costantino, ad autorizzarne lo spostamento; così come fece poi coi corpi di San'Andrea, San Luca e San Timoteo, destinati ad arricchire la Chiesa dei Santi Apostoli di Costantinopoli. Emblematica a tal proposito l'Epistula IV di Gregorio Magno (VI secolo), che rifiuta a Costantina, moglie dell'imperatore Maurizio, la testa di San Paolo apostolo per essere traslata a Costantinopoli. 

Gregorio Magno

2) È proprio Costantinopoli il centro di un culto sfrenato e illogico delle reliquie, sfarzoso e quasi ridicolo. Fin dai tempi di Sant'Elena, madre di Costantino, instancabile procacciatrice di reliquie, tra cui il legno della Vera Croce di Gesù, che però la cristianità ha perso nella lotta contro il Saladino*, la città è stata la meta di un imponente trasporto di memorabilia. Ma la sua prosperità non è eterna: durante la Quarta Crociata i bravi soldati cristiani, che puntavano a Gerusalemme, saccheggiarono invece proprio Costantinopoli, e si divisero in bell'ordine i tesori sottratti, tra cui spiccavano molte reliquie. All'epoca nell'antica capitale se ne contavano a centinaia, tra cui (vado a memoria) un paio di teste di Giovanni il Battista, che ha sempre avuto una buona fortuna in quanto a reliquie. A questo proposito cito una delle storiche Bustine di Minerva di Eco:
[...] ora sappiamo che il capo di San Giovanni Battista è conservato nella chiesa di San Silvestro in Capite a Roma, ma una tradizione precedente lo voleva nella cattedrale d'Amiens. Comunque il capo conservato a Roma sarebbe senza la mandibola, conservata nella cattedrale di San Lorenzo a Viterbo. Il piatto che ha accolto la testa del Battista è a Genova, nel tesoro della cattedrale di San Lorenzo, assieme alle ceneri del santo, ma parte di queste ceneri sono anche conservate nell'antica chiesa del monastero delle Benedettine di Loano, mentre un dito si troverebbe nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze, un braccio nella cattedrale di Siena [...]. Dei denti uno sta nella cattedrale di Ragusa e un altro, insieme a una ciocca di capelli, a Monza. [...] Un'antica leggenda voleva che in qualche cattedrale fosse conservata la testa del Battista all'età di dodici anni, ma non mi risulta esista alcun documento ufficiale che confermi la diceria.
3) Insomma, va bene Costantinopoli, ma neanche l'Occidente ha mai scherzato. Tanto per dirne una, è a Milano che, alla fine del IV secolo, si vede l'inizio di un fenomeno che avrà poi applicazioni costanti lunga la storia della cristianità: l'inventio (termine storicamente più accurato, ne sono sicuro, dell'alternativa italiana "scoperta") dei corpi dei santi da parte di autorità più o meno ecclesiastiche. Fu in quel periodo che il vescovo Ambrogio, maestro di Sant'Agostino, indotto da un sogno, fece scavare due tombe in cui trovò dei corpi miracolosamente conservati e identificati, in maniera forse arbitraria, con due martiri delle persecuzioni dell'imperatore Diocleziano, i Santi Gervasio e Protasio. Scoperta (o, appunto, invenzione) provvidenziale, dato che i corpi servirono al buon Ambrogio per consacrare, nel 386, la Basilica Martyrum, oggi Sant'Ambrogio. Da allora per attirare persone in questa o quella città bastava scoprirci un santo, o, in età più tarda, acquistarne le reliquie, spesso di dubbissima provenienza (ne parla, mi pare, anche Vassalli ne La Chimera, a proposito della mia bella città, Novara); o ancora rubarle. I furta sacra furono un autentico flagello lungo tutto il Medioevo. Le reliquie, cari lettori, valevano come moneta corrente, anzi di più perché non rischiavano di svalutarsi. E le ridondanze non preoccupavano nessuno, un po' perché non è che le notizie viaggiassero veloci, e se una città in Portogallo e una in Polonia vantavano la stessa reliquia facile che nessuno lo venisse mai a sapere; un po' perché è facile accusare tutti di essere in malafede tranne noi stessi; e un po' perché, diamine, un miracolo è sempre possibile, anche a costo di scadere nel grottesco. A tal proposito, eccovi un frammento spassoso dal solito Eco:
Il Prepuzio di Gesù era esposto a Calcata (Viterbo) fino a che nel 1970 il parroco ne ha comunicato il furto. Ma hanno rivendicato il possesso della stessa reliquia Roma, Santiago di Compostela, Chartres, Besançon, Metz, Hildesheim, Charroux, Conques, Langres, Anversa, Fécamp, Puy-en-Valey, Auveragne. [...] In molte chiese sono conservati i capelli o il latte di Maria, l'anello delle nozze con Giuseppe sarebbe a Perugia, ma quello di fidanzamento è a Notre-Dame di Parigi**.
Dopo questo excursus storico-archeologico-agiografico non ci rimane molto in mano, se non la vertigine dell'elenco. Ancora non so dire perché le reliquie attraggano tante persone. Sarei tentato di dire che è perché le reliquie sono una prova tangibile della fede, ma chi ha fede in Leopardi? Di lui sappiamo bene che è esistito, non dobbiamo averci fede. Allora forse ha ragione la curatrice del museo, quando dice che servono a far sentire le persone più vicine ai propri maggiori.
Dell'effetto delle reliquie si riempiono i corsi di Psicologia della Religione, e io, da ateo, li riassumo dicendo che la taumaturgia spesso non è che un potente effetto placebo. Eppure m'inquieta pensare alle reliquie di Leopardi, e per spiegare come mai uso le parole di Giovanni Calvino, dal famoso Trattato sulle reliquie del 1543:
Il primo vizio, quasi la radice del male, è stato che, anziché cercare Gesù Cristo nella sua parola, nei suoi sacramenti e nelle sue grazie spirituali, la gente, secondo il suo costume, ha perso tempo con le sue vesti, le sue camicie e la sua biancheria; e facendo ciò ha trascurato l'essenziale per seguire l'accessorio.
Ecco. La scrittura de L'Infinito è un fatto essenziale. I casi fortuiti legati alla morte di Leopardi (il suo vestito, il legno con cui è stata fatta la sua bara) sono accessori. Questo è il motivo per cui la notizia a inizio articolo mi pare tanto assurda, persino deprimente: perché nella storia delle umane lettere non vorrei che finissimo per confondere l'uno con le altre, e rischiare in tal modo di venerare Leopardi come personaggio, e non come poeta e letterato. Lungi da noi!



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*Nonostante se ne conservino molti frammenti; tanti che, sostiene Giovanni Calvino, se li dovessimo riunire tutti, avremmo abbastanza legname per costruirci una nave.
**A proposito di queste ridondanze, Calvino nota che non solo a Torino ci si vanta di avere la Sacra Sindone, ma allo stesso modo a Chambéry, ad Aquisgrana, a Le Traict (Utrecht), a Cadouin, a San Salvador di Spagna, ad Albi, a Roma, a Besançon (di nuovo!) e in una non meglio definita località della Lorena. Val poi la pena ricordare che, ai tempi di Gesù, almeno per quanto ne so io, non si usavano gli anelli di fidanzamento?

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