Non essere e farcela lo stesso

Stamattina mi è capitato di leggere questo articolo. L'argomento trattato sono i mondi paralleli. Mi ha fatto tornare in mente una cosa a cui, non dico credessi, ma sicuramente avevo immaginato quando ero adolescente.
Non ricordo da dove fosse saltata fuori. Sicuramente non fu niente di che: stavo salendo le scale e avevo perso l'equilibrio o una cosa del genere. La sensazione agghiacciante di vuoto sotto lo sterno. Poi non era successo niente, avevo messo il piede nel posto giusto e mi ero raddrizzato. Mi ero detto: "Ecco, se non l'avessi fatto ora sarei laggiù, in fondo ai gradini, forse con la testa spaccata". E avevo pensato che, da qualche parte, se era vera l'ipotesi degli infiniti universi paralleli, in uno di quelli io ero laggiù, morto. Solo che no, non era del tutto corretto: io non ero laggiù. Non nel senso che ero non laggiù: invece non ero proprio. Non so se è chiaro. Questo pensiero mi suggeriva, tra l'altro, una conseguenza molto interessante: io non ero né sarei mai stato in un mondo in cui sarei morto. Partendo da un'ipotesi unitaria, diciamo di un mondo singolo che poi si biforca in uno in cui sono vivo e uno in cui sono morto, l'unico posto adatto per me, per la mia coscienza (all'epoca dovevo già essere ateo), era quello in cui sarei sopravvissuto. Cioè non avrei mai avuto esperienza di quei mondi in cui sarei morto. Dico "io" ma intendo dire "tutti noi", è un io generico, un Everyman. Avrei sempre messo il piede nel modo giusto, avrei sempre evitato di salire in macchina prima dell'incidente, non sarei mai stato sulla traiettoria di quel proiettile. La mia coscienza avrebbe proseguito tranquilla in quei mondi in cui sopravvivevo, perché non aveva altro posto in cui andare. Forse, nel momento in cui fossi caduto, prima di toccare lo spigolo del gradino, la mia coscienza già non ci sarebbe più stata. Cosa ci sarebbe stata a fare? No, io ce l'avrei fatta, almeno finché tutte le possibilità non si fossero esaurite, e avrebbe cessato di esistere anche solo l'eventualità che io (che noi) potessi(mo) in qualche modo sopravvivere.

La filosofia occidentale è una filosofia dell'ontologia, fin dai tempi di Parmenide. Questo perché si fonda su una confusione importantissima: usare il verbo "essere" come attributo, e in parte dimostrazione, dell'esistenza. La logica invece usa "essere" come stato in luogo, o come copula di un predicato caratterizzante. Da ragazzo naturalmente non potevo conoscere questa differenza. Ancora oggi, ogni tanto - non tutte le volte, ma ogni tanto -, quando sto per cadere e, ecco, sopravvivo, ripenso a quel mio gioco di tredicenne o quattordicenne o giù di lì. Ancora non ho avuto modo di confutarlo.

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