Grandezza di Dante nell'immaginario collettivo

Qualche anno fa (sette per l'esattezza, quando avevo vent'anni e il mondo mi sembrava più divertente) scrissi queste brontolose considerazioni letterarie, paragonando il nostro Dante Alighieri all'inglese John Milton, l'autore - ma già lo sapete - del Paradiso Perduto:
Milton aveva vergato, su un foglio, i vari argomenti da cui avrebbe potuto trarre un poema, e infine si era deciso per la cacciata dal Paradiso, considerandolo forse il più patetico e universale di tutti. E proprio qui, credo, sta la differenza tra questi due poeti: Milton ha dovuto elaborare i suoi versi su un canovaccio preesistente, grandioso e ampiamente conosciuto; Dante invece su uno nuovo (seppure ispirato a certi precedenti viaggi nell'oltretomba: ricordiamo Ulisse, che non poté leggere direttamente, Enea, Beda il Venerabile*...). Il personaggio Dante, al contrario del personaggio Lucifero, insomma, è creato ex novo: la sua grandezza (una delle sue grandezze) sta nel fatto che la storia di Dante, oggi, non ci sembra meno reale di quella di Milton.


Con reale intendevo qualcosa di diverso dal dato di realtà, ma credo che mi abbiate capito tutti.

Sapete una cosa? Avevo perfettamente ragione. Dante ha contribuito a formare la nostra mentalità, e la mentalità del nostro mondo, a un livello che, dopo di lui, forse solo Freud, con le sue topiche, le sue nevrosi e il suo Edipo, è riuscito a eguagliare.
Dante fu insuperato come poeta (sfido chiunque a trovare qualcosa di più bello della Commedia: personalmente mi sembra che possano reggere il confronto solo alcuni passi di Whitman), cosmopolita come intellettuale, e fondò una tradizione linguistica che servì a unificare la sua terra (perciò il suo valore non è secondo, anche se si tratta di percorsi linguistici sostanzialmente diversi, a quello di uno Shakespeare). Eppure tutte queste cose passano in secondo piano quando pensiamo alla sua capacità di scolpire la nostra mente. La "nostra" nel senso di "razza umana", ben al di là del mondo occidentale. Chaucer subì l'influenza di Dante, la traduzione della Commedia da parte di Longfellow è una pietra miliare nella storia della letteratura americana, e persino oggi, in Giappone, le rappresentazioni popolari dell'inferno cristiano si rifanno alla suddivisione di Dante. I gironi, il contrappasso, Paolo e Francesca, il Conte Ugolino, il Lucifero tripartito, il primum mobile non sono forse invenzioni dantesche, ma sono entrate nella nostra mente, e quasi ereditate per virtù propria da una generazione all'altra grazie all'abilità di Dante.


Un esempio molto piccolo varrà forse più di tutti. Pensiamo a un Pier delle Vigne. Ci verrà in mente l'immagine di un uomo sostanzialmente giusto, ingiustamente accusato, che decide di togliersi la vita perché non può sopravvivere alla propria ignominia, alla caduta in disgrazia. Ma questa è l'immagine che ci offre Dante. Storicamente, anzi, gli studi di settore riconoscono che Pier delle Vigne fu probabilmente sì un uomo corrotto. Forse Dante scrisse il canto dei suicidi in buona fede, o forse volle esagerare l'innocenza del suo personaggio, vedendo in Pier delle Vigne un'ombra, un simbolo del proprio stesso destino, e quindi per rinforzare l'immagine della propria innocenza**; ma il fatto resta. La verità storica  - questo si può dire anche di Shakespeare, quando si pensa che storicamente Macbeth fu un re mite, e di tanti altri grandi autori - vale per noi meno della parola di Dante. A dire il vero, quando si pensa alla struttura dell'Inferno, l'intera teologia cristiana vale un po' meno dell'interpretazione che ne dà Dante. E questo a tutti i livelli: non occorre aver studiato la Commedia per immaginarsi l'Inferno diviso in gironi. Non so a voi, ma a me questa cosa lascia proprio senza fiato.


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* Naturalmente gli antecedenti al viaggio di Dante sono molto più numerosi di quelli che mi vennero in mente a vent'anni: aggiungiamoci pure Il Libro della Scala, Il Libro delle Tre Scritture... Il senso della contrapposizione, comunque, mi sembra invariato. Nessuno di questi viaggi mistici sarebbe ricordato da qualcuno, al di là dei circoli accademici, se non grazie a Dante, e all'influsso che essi ebbero su Dante.
** L'impressione, che ebbi la prima volta che lessi il canto XIII, è sostenuto dalle tesi di Leonardo Olschki.

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