L'Italian Book Challenge

È partita da poco la seconda edizione dell'Italian Book Challenge, una sfida tra lettori a chi riesce a raggiungere la quota di 100 libri in un anno (o 35, se si sceglie la challenge di primo livello). La sfida è stata introdotta nel nostro bel paese da Serena Casini, della Libreria Volante di Lecco - che salutiamo, nel caso ci stesse seguendo.
Pur sapendo che non è tanto il numero quanto la qualità dei libri il problema, non posso fare a meno di essere contento di questa iniziativa. Noi italiani produciamo una quantità spropositata di libri (circa 66000 titoli solo l'anno scorso), ma meno della metà dei nostri compaesani legge almeno un libro all'anno. Siamo un popolo di scrittori che non leggono.
Nelle mie lezioni di scrittura creativa insisto parecchio sul fatto che, se uno decide di scrivere, prima deve aver letto moltissimo. Ma naturalmente deve leggere anche chi non ha alcuna ambizione autoriale. Bisogna leggere - bisogna! - perché è uno dei pochi metodi, nel nostro mondo occidentale, che ci resta per imparare a pensare liberamente, e a rendere più acuto il nostro pensiero. Gli altri che mi vengono in mente sono il teatro e l'ascolto di persone che ne sanno più di noi, i maestri e i professori, sia all'interno che fuori dalla scuola (ma bisogna saperli riconoscere, questi professori, così come bisogna saper riconoscere i libri buoni da quelli orribili, e per farlo serve aver sviluppato in partenza già un minimo di competenza). Fortunatamente un collega, al corso di Letteratura Italiana, obbliga i suoi studenti a leggere ventidue libri selezionati per anno scolastico.

Lo sfondo di questo blog. Un caso? Io non credo
Se siete interessati a raccogliere la challenge dei libri, questo è il sito ufficiale e questo è il gruppo Facebook della sfida. Ma anche se non decidete di aderire, ricordatevi sempre di LEGGERE, di LEGGERE e di LEGGERE, e soprattutto di PENSARE. Quindi a presto, cari lettori!

Commenti

Post popolari in questo blog

Le lezioni americane di Italo Calvino: Leggerezza, Rapidità, Esattezza

Che schifo, la tripofobia!

La poesia è davvero soggettiva?