La teoria dello Shakespeare bicamerale


Come promesso settimana scorsa, si torna a parlare di Westworld, la fortunata serie HBO che ha spaccato in due il pubblico, ma che personalmente ho apprezzato molto - più, lo ammetto, per quello che suggerisce che non per quello che dice. In questo articolo rispondevo a tutti coloro che accusavano lo show di essere troppo irrealistico, perché pieno di personaggi antisociali; ovvero a chi tacciava l'idea di un West World di immoralità. Oggi voglio affrontare un discorso diverso, di quelli che mi hanno fatto dire che Westworld è un telefilm psicologico-filosofico: l'onnipresenza ideale di William Shakespeare.

SHAKESPEARE E IL VECCHIO WEST
Westworld è ricco di citazioni tratte da drammi shakespeariani. Questo lo si nota in particolare nei primi episodi. Le citazioni emergono generalmente a segnalare i momenti di svolta del processo attraverso cui gli androidi raggiungono l'autocoscienza, o perlomeno la consapevolezza di loro stessi. Il primo personaggio che cita Shakespeare è Peter Abernathy, padre della protagonista Dolores. Cita in particolare La Tempesta ("L'inferno è vuoto, e tutti i diavoli sono qui!") e il Re Lear ("Farò cose tali - quali saranno non so ancora, ma saranno il terrore della terra"). Queste citazioni hanno in sé qualcosa di terribile, perché sembrano svelare sia l'orrore di Abernathy nei confronti della propria condizione sia la rabbia che prova verso i suoi creatori. I programmatori liquidano la cosa come se fosse un glitch: Abernathy ricorda un vecchio personaggio che aveva interpretato, un professore in una linea narrativa horror che sembra omaggiare l'Hannibal di Anthony Hopkins (che in Westworld interpreta il direttore e ideatore del parco, Robert Ford).
Aperta parentesi. Non c'era bisogno di tirare in ballo un professore, per spiegare il fatto che Abernathy conoscesse Shakespeare. Riporto una citazione in merito - chi volesse leggere l'articolo completo, lo trova qui. In breve, Shakespeare era conosciuto in lungo e in largo nel west; anzi, forse dopo la Bibbia quella shakespeariana era l'opera più conosciuta in assoluto.
What these portentous allusions don’t seem to register, however, is the actual role that Shakespeare played in the American West. Far from missing his cues, the robot homesteader who hisses Ariel’s line could have been any number of settlers who performed Shakespeare from Missouri to San Francisco on the 19th Century frontier, where gold-miners queued up to land a plum part in favorites like the bloodthirsty Macbeth or Richard III. Traveling through America in the 1830s, Alexis de Tocqueville observed: “There is hardly a pioneer’s hut that does not contain a few odd volumes of Shakespeare. I remember that I read the feudal drama of Henry V for the first time in a log cabin.” An army scout in Wyoming traded a yoke of oxen for an edition of Shakespeare; mines named Cordelia, Ophelia, and Desdemona dotted the Colorado mountains. 

L'ultima citazione shakespeariana, e la più altisonante, è tratta dal Romeo e Giulietta. "Questi violenti piaceri hanno violente conclusioni", dice Abernathy (e poi Dolores, e Maeve, e molti altri). Ancora una volta, quello a cui sembrano riferirsi i personaggi di Westworld è qualcosa di terribile. I "violenti piaceri" sono quelli che i visitatori si concedono all'interno del parco a spese dei robot: lo stupro, il furto, l'assassinio. La "violenta conclusione" sembra riferirsi al massacro del film originale, che forse sarà il punto d'arrivo di tutta la serie. La citazione è però leggermente inesatta: è una battuta di Frate Lorenzo a Romeo, e "violento" qui non va inteso nel senso di "sanguinario", ma nel senso di "improvviso", "impetuoso". Frate Lorenzo cerca di mettere in guardia Romeo dall'amore improvviso per Giulietta. Certo, sapendo come il dramma finisce, questo ammonimento assume un altro tono, più fosco.

LA TEORIA DELLA MENTE BICAMERALE
Torneremo subito a parlare di Shakespeare, ma adesso preparatevi a una piccola digressione. Nel 1976 lo psicologo statunitense Julian Jaynes pubblicò il rivoluzionario saggio Il crollo della mente bicamerale e l'origine della coscienza. Il libro, che credo si possa ancora trovare in libreria o negli store online, è molto bello e vi consiglio di leggerlo. Qui faremo un breve riassunto della teoria in questione.
Jaynes afferma che, fino al 1000 a.C., gli esseri umani non possedevano una mente cosciente. Possedevano invece un surrogato di coscienza, una o più voci che parlavano loro incessantemente, spesso mimando un'autorità, e che li guidavano nella vita di tutti i giorni. L'origine delle voci si trova nelle zone cerebrali dell'emisfero destro preposte al linguaggio, in particolare l'Area di Wernicke (perlomeno nei destrimani, la cui lateralizzazione emisferica è in genere associata al predominio delle aree linguistiche sinistre). Gli esseri umani interpretavano tali voci come le voci degli dèi, anche se all'inizio erano poco più sofisticate di un istinto verbalizzato. Jaynes offre, a sostegno di questa ipotesi, tra le tante prove anche un'interessante disamina dell'Iliade: sembra che nel testo originale non si faccia mai uso di parole appartenenti al lessico psicologico (riguardo i sentimenti, ad esempio). Sembra inoltre che le intromissioni del numinoso siano molto simili alle esperienze di pazienti che oggidì soffrono di allucinazioni uditive e visive. Gli eroi seguirebbero quindi le decisioni che arrivano loro dall'emisfero destro: una divisione tra emisfero decisionale ed emisfero esecutivo che ricorda un parlamento a struttura bicamerale.
La marcata divisione emisferica che darebbe origine alla mente bicamerale è scomparsa dal nostro retaggio, sia per motivi storici (la narrazione, non per parlare sempre delle stesse cose, è un dialogo che intratteniamo con noi stessi, e che rende superfluo un terzo interlocutore), ed evolutivi (una mutazione delle nostre strutture cerebrali), lasciandoci la speranza che là fuori ci sia qualcuno che si preoccupa per noi, le forme base della nostra società e i profeti. Al suo posto l'essere umano ha sviluppato una coscienza vera e propria, individuale e interna. L'Odissea, molto più tarda dell'Iliade, è ricca di lessico psicologico in senso proprio.


WESTWORLD BICAMERALE
Arnold e Ford sono i due ingegneri-filosofi che hanno costruito il parco divertimenti di West World. Ford desiderava creare un mondo dove inscenare le proprie fantasie solipsistiche, ma Arnold intendeva ricreare il miracolo della coscienza umana. E, per farlo, si è affidato alla Teoria della Mente Bicamerale di Jaynes.
Nella versione beta del parco i robot sentivano in continuazione la sua voce dentro le proprie teste, come quella degli dèi dell'Iliade, che li guidava nelle loro azioni. Questo esperimento in larga parte fallì: i robot rimanevano paralizzati dalle informazioni in entrata e non riuscivano a capire da dove venissero. Entravano in stato catatonico. Ford sostituì questo metodo con uno più pratico, un dettagliatissimo programma installato nel robot. Ma, esattamente, cos'è che Arnold voleva, e come si aspettava che la sua voce diventasse coscienza nelle macchine?
Credo che quello che Arnold voleva fosse che i robot dialogassero con lui. Che la loro fosse una coscienza nata dialetticamente e stuzzicata da input preprogrammati. Un po' come un bambino che interiorizza la voce dei genitori (o un paziente che interiorizza la voce dello psicoterapeuta), sperava che un giorno i suoi robot potessero fare a meno della sua presenza. Sperava che riuscissero ad ascoltare se stessi: sperava che fossero liberi e coscienti di se stessi.

AMLETO CHE ORIGLIA SE STESSO
In questo articolo avevo cercato di dare una spiegazione della natura inafferrabile dei personaggi shakespeariani, tanto veri da strabordare dai loro drammi. Harold Bloom ha una teoria che unisce psicodinamica e dramma shakespeariano: che i personaggi di Shakespeare origlino se stessi - cioè, banalmente, si ascoltino durante i propri soliloqui - e attraverso questo origliare, questo riconoscersi e questo comprendersi, cambino se stessi. Come dicevo nell'articolo, l'unico modo in cui i personaggi di Shakespeare cambiano sembra essere attraverso l'ascolto delle proprie parole.
Io penso che sia questo quello che Arnold intendeva. Una coscienza nata dialetticamente. Voleva che i suoi robot parlassero a se stessi più che a lui, che la sua voce fosse solo un pretesto, e così cambiassero liberamente, senza interferenze. Lo dimostra il fatto che - fino al punto è SPOILER - Dolores, l'unico robot che riesca a svegliarsi completamente, quando alla fine visualizza la fonte delle voci che sente dentro la testa, scopre che non si tratta di Arnold ma di se stessa.

C'è da chiedersi se sia questo il segreto della grandezza dei personaggi di Shakespeare. Origliando prima la voce del drammaturgo che parla per loro, poi la propria stessa voce, è così che hanno raggiunto una forma di coscienza all'interno della coscienza di Shakespeare? Può darsi sia, perlomeno, uno dei motivi. Ma ecco qui: ora sembrano più vivi del loro creatore.


IL TELEFILM
Io capisco le persone a cui Westworld non è piaciuto. Spesso è lento, a volte sembra poco pensato, ed è sicuramente molto confuso. Si ha anche la spiacevole sensazione che tralasci molti buoni spunti. Al contrario io credo che sia proprio questo il segreto di Westworld: l'ellissi. La deliberata mancanza di un lavoro dettagliato di approfondimento, sia riguardo il mondo al di fuori del parco sia riguardo le implicazioni del risveglio della coscienza nei robot. Un'ellissi che mi permette di proiettare, pur dentro le solide strutture del telefilm, interpretazioni personali. Come quella di cui ho parlato qui sopra. Ma è stato Westworld a mettermela in bocca, e solo guardandolo l'ho potuta pensare.
Quindi, non c'è da dirlo, aspetto trepidante la seconda stagione!

Commenti

  1. Ottima analisi! La sensazione che tralasci buoni spunti io non l'ho avuta, piuttosto mi sembra che a volte li gestisca in malo modo (la storyline di Maeve su tutte). Sicuramente una delle migliori novità di quest'anno, ho grandi aspettative per la prossima stagione!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie! Son contento ti sia piaciuto l'articolo :)
      Mah, ti dirò, Maeve ha dei momenti gestiti malissimo, ma all'inizio e alla fine mi è sembrata una storyline molto interessante. Il dilemma a cui la porta Ford è uno dei tanti modi che usa per risvegliare gli host, e come soluzione mi è piaciuta.
      Aperta parentesi: credo che il tuo sia il nickname migliore dell'universo. Avrei voluto pensarci io, dannazione!

      Elimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Che schifo, la tripofobia!

Avete presente C'era una volta in America?

Una difesa dell'Id quo maius