C'è chi non vuole sentir parlare di femminicidio

Nel grande mondo dei social, ormai, è qualche tempo che si discute sulla legittimità della parola "femminicidio". Del resto sui social siamo un po' tutti studiosi di linguistica.
C'è ad esempio una corrente di pensiero che sostiene che "femminicidio" sia una parola priva di valore. Già la parola "omicidio", che deriva da "homo" nel senso di "umano" e non di "uomo maschio", conterrebbe in sé il significato di femminicidio, cioè di assassinio di donna. Alcuni affermano quindi che la parola "femminicidio" sia femminista (spregiativo), voluta dalle lobby femministe (sempre spregiativo) per sviare l'attenzione del pubblico verso il mondo circoscritto della violenza sulle donne. O qualcosa del genere.
Fonte Facebook

Altri, un po' più sensatamente, sono preoccupati all'idea che usare una parola a parte, come dire laterale, possa far pensare a una differenza di gravità tra essa e un qualunque altro tipo di omicidio. O che la parola possa venire sfruttata per stigmatizzare non tanto il fenomeno del femminicidio quanto le sue vittime. Purtroppo vediamo ogni giorno che la loro non è una paura infondata:

Il Giornale. Qui un articolo in proposito.

Per parte mia sostengo che femminicidio sia una parola valida e che meriti di essere utilizzata. A quelli che credono che bisognerebbe sostituire "femminicidio", ovunque appaia, con un più generico "omicidio", faccio notare che in Italia, vivaddio o purtroppo, esistono molte parole il cui significato è di "assassinio di una particolare categoria umana". Patricidio, matricidio, fratricidio, uxoricidio... Vogliamo eliminarle tutte?
Ci si concentra su "femminicidio" e non su "parricidio", ad esempio (cioè l'omicidio di un parente), nonostante si possano muovere a entrambe le stesse accuse. Il che è stranissimo. Tanto più che la Treccani ci assicura che la parola "femminicidio" è legittima, nella sua costruzione, e non infrange nessuna regola italiana.
Con quelli che invece temono che "femminicidio" possa portare a una ghettizzazione del problema mi trovo d'accordo... in parte. Tuttavia dovremmo concentrarci sul significato esatto della parola, e non su quello che certi media e un certo tipo di opinione pubblica cercano di far passare. Sempre secondo la Treccani (riporto la definizione) il femminicidio riguarda l'eliminazione fisica o l'annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale. Per femminicidio si intende quindi l'uccisione di una donna in quanto donna. Se un pazzo entra in un locale con un fucile e uccide sei uomini e cinque donne, non si parla di "sei omicidi e cinque femminicidi", perché l'attacco non è stato causato dal loro essere donne ma dal loro trovarsi in quel bar in quel momento. Ma se un uomo uccide una donna perché lei ha deciso di lasciarlo, per difendere il suo diritto di "possederla", allora sì, quello è un femminicidio, ed è giusto chiamarlo in questo modo.

Otto croci per otto cadaveri di donne trovate a Ciudad Juàrez nel 1998.
Il numero delle donne uccise a Ciudad Juàrez dal 1993 al 2005 è stimato attorno a 370.

La cosa peggiore, qui, è che a volte ci dimentichiamo che non è la parola "femminicidio" a essere sbagliata. È la condizione della donna in Italia - così come in molti altri Paesi -, che richiede addirittura l'invenzione di una parola apposita per definirne l'omicidio, che è sbagliata. La semantica non c'entra.


(Per approfondire l'argomento, vi rimando a questo articolo dell'Accademia della Crusca, che a suo tempo condivisi sulla pagina Facebook del blog.)

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