Il complesso di Shakespeare


Con l'intento di celebrare i quattrocento anni dalla morte di Shakespeare, il più grande drammaturgo d'occidente, Psicologia&Scrittura torna a parlare del rapporto che lo lega a Freud, il fondatore della psicoanalisi, come già aveva provato a fare in questo articolo.
Oggi propongo il contributo di Harold Bloom (tutte le citazioni sono tratte da Il Canone Occidentale) su questo argomento. Lascerò che sia lui a parlare: non credo sia necessario spiegarlo più di tanto, perché è già chiarissimo di per sé. Inizio affrontando di nuovo, in breve, il triangolo tra Freud, l'Edipo e Amleto: Bloom sembra tagliare la testa al toro, affermando risolutamente che
Amleto non soffriva del complesso di Edipo, ma Freud soffriva senza dubbio del complesso di Amleto, e forse la psicoanalisi è un complesso di Shakespeare.
C'è una secca condanna della teoria di Freud - che, peraltro, Bloom non argomenta molto. Ma la questione più importante, qui sollevata, è un'altra: in che senso si può parlare di complesso di Amleto e complesso di Shakespeare? Risponde sempre Bloom:
[...] l'ansia dell'influenza non ha vittima più illustre del padre della psicoanalisi, che scopriva di continuo che Shakespeare l'aveva preceduto, e troppo spesso non riusciva a sopportare quell'umiliante verità.

Bloom sostiene l'ipotesi che la visione della psicologia umana di Freud derivi, in maniera, chissà, forse inconscia, proprio dalla lettura dei drammi shakespeariani. La cura della psiche che passa attraverso la parola, suggerisce qui e là nei suoi saggi, è un'idea di Shakespeare, non di Freud: i personaggi di Shakespeare cambiano ascoltandosi. I soliloqui di Amleto cambiano Amleto. Sembrerebbe quasi che Freud abbia solo inserito una variabile relazionale (volta a sollecitare parola e ascolto?) in un modello precedente, che è inglese e non tedesco. Addirittura il padre della psicanalisi avrebbe cercato di uccidere lo stesso Shakespeare, come un Edipo il proprio padre (e in questo senso si parla di complesso di Amleto, che è solo un Edipo riflesso su Freud), attribuendo il suo genio ad altri, e cancellandone l'eredità:
Fino alla morte, Freud continuò a insistere [...] che a scrivere i drammi e le poesie erroneamente attribuite a Shakespeare era stato il conte di Oxford. 
Ernest Jones, l'agiografo di Freud, riferisce che Meynert, che insegnò al giovane Freud l'anatomia del cervello, credeva nella teoria secondo cui a scrivere le opere di Shakespeare era stato Sir Francis Bacon. Nonostante l'ammirazione che nutriva per Meynert, Freud si rifiutò di diventare baconiano, ma per un motivo rivelatore: la conquista cognitiva di Bacon, aggiunta all'eminenza di Shakespeare, ci avrebbe dato un autore dotato del "cervello più brillante che il mondo abbia mai prodotto",
un riconoscimento che, sembra sottintendere Bloom, Freud desiderava avocare per se stesso.
Chiarendo ulteriormente l'argomento, Bloom finisce per affrontare il problema di quegli studiosi di Shakespeare che tentano di spiegarne la grandezza filtrandola attraverso una teoria, e ne ottengono invece un senso di sconforto, come se, invece di chiarificarlo, l'avessero rimpicciolito:
[...] chiunque siate e ovunque vi troviate, Shakespeare è sempre più avanti, sul piano tanto concettuale quanto immaginario. Vi rende anacronistici perché vi contiene; contenerlo è impossibile. Non si può illuminarlo con una nuova dottrina, sia essa il marxismo o il freudismo o lo scetticismo linguistico demaniano. Al contrario, sarà Shakespeare a illuminare la dottrina, non mediante una prefigurazione ma, per così dire, mediante una postfigurazione: tutti gli aspetti essenziali di Freud sono già presenti in Shakespeare, accompagnati da una persuasiva critica dello stesso Freud. La mappa freudiana della mente è di Shakespeare; pare che Freud l'abbia solo messa in prosa. In altre parole, una lettura shakespeariana di Freud illumina e trascende il testo di Freud; una lettura freudiana di Shakespeare riduce Shakespeare, o meglio lo ridurrebbe se riuscissimo a sopportare una riduzione che superasse il confine dell'assurdo. 
Harold Bloom

Il complesso di Amleto non è comunque da confondersi in toto con la semplice ansia da influenza, altro famoso costrutto psicologico-letterario di Bloom. Questa, che è fisiologica della letteratura e permette l'evolversi della stessa invece di un eterno ristagno, è un rapporto che riguarda solo i libri e prescinde dagli autori. L'ansia da influenza si configura come un punto di partenza del complesso di Amleto/Shakespeare, che invece è dichiaratamente di tipo edipico.
L'ansia da influenza non è un'ansia riguardante il padre, reale o letterario, bensì un'ansia raggiunta dal e nel romanzo, dramma o componimento poetico. Ogni opera letteraria solida fraintende il testo o i testi precursori in maniera creativa, e dunque li interpreta erroneamente.
D'altra parte l'antipatia di Bloom per il metodo psicoanalitico non è un mistero. Egli stesso parla con rimpianto degli "amici di gioventù che si sono sottoposti a interminabili decenni di psicoanalisi, per finire avvizziti e prosciugati, ogni passione spenta, pronti a morire analiticamente dopo aver ritrovato la ragione".

Bloom scrive molte altre pagine agguerrite nei confronti di Freud. Forse per questo alcuni critici hanno ribaltato la sua tesi, e immaginato che, più dell'ansia d'influenza di Freud nei confronti di Shakespeare, Bloom parlasse della propria ansia d'influenza nei confronti di Freud. Alcune citazioni, lette di seguito, potranno chiarire questo sospetto: scrive Andrea Cortellessa:
Nei Vasi Infranti con compiacimento blasfemo [Bloom] definirà la propria, addirittura, imitatio Freudi: perché la critica è freudiana "che lo voglia o no. Essa si fonda su modelli freudiani anche quando finge di essere asservita a Platone, Aristotele, Coleridge o Hegel".
Scrive Aldo Tagliaferri:
La tradizione, che Bloom qualifica come aggressione del precursore, [...] in termini psicanalitici, rientra in quel complesso di ammirazione e di avversione, di emulazione e di desiderio di diversificazione, di eternamento e di uccisione, che va sotto il nome di complesso edipico.
Nessuno psicologo, poi, dubiterà del fatto che Bloom abbia tremendamente semplificato l'apporto di Freud alla comprensione e al trattamento delle psicopatologie. Insomma, verrebbe da dire che probabilmente Shakespeare non soffriva del complesso d'Edipo, e che forse Freud non soffriva del complesso di Shakespeare, ma che Bloom soffre sicuramente del complesso di Freud.


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