Ma gli italiani sognano pecore realiste?

Qualche anno fa la Rai trasmise un reality, involontariamente comico, che alcuni ancora ricorderanno. Si chiamava Masterpiece. I partecipanti erano un gruppo di scrittori dell'ultima ora e il premio finale la pubblicazione di un romanzo. Eppure, dopo una prima superficiale valutazione dei testi, nel corso del reality erano gli scrittori, e non i romanzi, a dover superare una serie di prove per arrivare in finale. Questo già la direbbe lunga sul concetto di letteratura che ha la Rai.

Vien proprio voglia di partecipare!

Arriviamo al motivo di questo articolo. Durante una delle prime puntate del programma, Andrea De Carlo, analizzando un romanzo fantasy, quasi per scusarne l'autrice, disse che sì, i contenuti erano pure fantasy, ma alla fine il genere era un pretesto per analizzare il mondo reale. Mica altro. Sia mai che qualcuno pensasse che De Carlo potesse considerare un romanzo fantasy buono per se. Ora, si potrebbero sollevare dei dubbi sulle obiettive capacità di critico di un uomo che ha intitolato un romanzo Villa Metaphora, ma non è questo il mio scopo.
Lo scopo è invece dire che De Carlo aveva ragione.

TA-DA-DA-DAAN! (II)

Non fraintendetemi: De Carlo ovviamente aveva torto. Il suo è stato un tentativo puerile di difendere qualcosa che non aveva bisogno di essere difeso. Eppure quello che ha detto non è del tutto sbagliato: ogni opera letteraria, compresi i fantasy, indaga qualcosa del mondo reale, non foss'altro che la natura dell'uomo.

Questa infatti, per me, rimane l'opera per eccellenza

Il ragionamento si può anche capovolgere, e allora comincia l'apologia della Fantasy come genere. Cerchiamo d'essere chiari, finalmente: non c'è un solo libro nella storia del mondo che fotografi la realtà così com'è. Nemmeno le biografie (o, Dio ce ne scampi, le autobiografie). Questo perché capita, di tanto in tanto, che la realtà sia inverosimile; ma un libro non può mai mancare di essere verosimile. Deve possedere una qualità che si chiama "coerenza interna". La realtà può benissimo farne a meno.
(Le uniche storie, tra quelle che mi vengono in mente, che si sono davvero avvicinate alla realtà sono quelle di J.D. Salinger. Ma queste hanno un vantaggio rispetto alla realtà, che finisce per renderle irreali: che sono state scritte da J.D. Salinger.)
Ogni scrittore - prendiamo in esame la narrativa, va là, e non complichiamoci la vita -, per scrivere qualcosa, deve fare un passo indietro dalla realtà e cominciare a riflettere su quello che ha da dire. Chiarito questo, gli scrittori fantasy sono quelli che hanno fatto qualche passo in più rispetto al resto del gruppo. Vien da pensare che non esista una differenza qualitativa tra scrittori, ma solo quantitativa; e in particolare riguardo la misura del loro coraggio, della loro lungimiranza, e del loro desiderio di allontanarsi dai porti sicuri per scoprire qualche terra inesplorata e rivendicarla come propria.
Questo, per qualche motivo, all'italiano lettore medio non quadra. Quello che qui da noi passa per un buon libro è l'ennesimo viaggio introspettivo dello scrittore che, incapace di imitare Joyce o la Woolf, vomita sulle pagine frasi intricate e metafore incomprensibili per fingersi profondo (il mio professore di Lettere, al liceo, diceva che se non sai comunicare qualcosa linearmente, allora non sai comunicare; e credo che anche H.P. Grice avrebbe qualcosa da aggiungere in proposito).

C'è una ragione per questa resistenza: la sensazione, io credo, che, se qualcosa non è d'utilità immediata, allora è in qualche modo sbagliata. Peccaminosa perché piacevole. Un'idea puritana, possiamo dire, forse importata dall'America.
Il lavoro è giusto, non il pensiero. I soldi sono giusti, non il come li si è guadagnati o come li si vuole spendere. Il sesso è giusto, non l'amore.
E la fantasia, l'immaginazione, puzzano ferocemente di inutilità all'italiano medio, e finiscono per essere relegate alla letteratura d'evasione, e ritenute buone solo per i perditempo o i bambini. Non è un caso, tra l'altro, che sia proprio la letteratura per l'infanzia quella che in Italia vanta la crescita maggiore, da un punto di vista economico: in fondo è l'unica a essere ancora viva.

Mille anni di questo, piuttosto che rileggere La Solitudine dei Numeri Primi

Il fenomeno, a essere giusti, risale a tempi non sospetti: quando il romanzo gotico nacque, in Inghilterra, i libri erano cose per le casalinghe, per le femmine, e nulla più. Ricordiamo tutti quelle caricature di donne terrorizzate attorno a un tavolo, che sfogliano Walpole o Lewis e tremano: questo un po' perché l'uomo, prima e durante l'Età Vittoriana, oltre a non poter essere omosessuale, non poteva neanche perdere tempo con sciocchezze come l'immaginazione. Doveva lavorare e far quadrare i conti.
(L'immaginazione è sempre stata considerata una qualità disprezzabile, nella società capitalista, quasi femminea - e già il fatto che "femmineo" sia un insulto ce la dice lunga; ma è grazie a essa che abbiamo avuto i nostri Victor Hugo e i nostri Albert Einstein.)
Non so se l'intellighenzia nostrana abbia fatto o meno propria quest'intuizione - quella dell'inutilità dell'immaginazione, cioè -, fatto sta che, in anni recenti (in passato l'Italia vantava un'ottima produzione di letteratura fantastica), ha trasformato la Fantasy nel genere più disprezzabile e disprezzato. Credo sia stata una generalizzazione dettata dall'ignoranza e dalla voglia di sentirsi più intelligenti degli altri, di quelli cioè che, piuttosto che avere un genere di riferimento, hanno solo un'unica richiesta: che il libro che stanno leggendo sia buono.

Brava, intellighenzia. Sette più

L'articolo aveva lo scopo di chiarire i motivi per cui la Fantasy/Sci-Fi non deve essere considerata un genere minore, ma mi è sfuggito di mano e ha parlato d'altro. Non me ne pento: anche io, come tutti, devo allontanarmi dai porti sicuri, dai piani prestabiliti, per scrivere qualcosa di buono, e magari di sincero.
Potrei ora concludere l'articolo con un elenco dei grandi autori che hanno di fatto scritto Fantasy (Orwell e Huxley, ad esempio: il genere distopico è figlio naturale della Fantascienza... oppure la candidata al Nobel Margaret Atwood; o ancora, a tornare indietro, Omero, Apollonio Rodio, Virgilio, Luciano di Samosata, Ludovico Ariosto, Torquato Tasso... fino ad arrivare a Jonathan Swift, a Rudolph Erich Raspe, a H.G. Wells e finalmente al Re, Italo Calvino); oppure spiegare che sì, io gli italiani a cui la Fantasy fa senso li capisco pure, dopo l'invasione fantatrash dei primi anni duemila che fin da allora ha saturato il mercato con persone al limite dell'analfabetismo e che però un High Fantasy te lo buttavano giù, sarà mica una cosa difficile, ho visto due volte Il Signore degliAnelli in home video; ma preferisco concludere con una nota di speranza, facendo mie le parole di Ursula Le Guin, una dei più grandi scrittori viventi, che ha dedicato la sua vita alla Fantasy (Il Ciclo di Terramare) e alla Fantascienza (Il Ciclo dell'Ecumene) - e che quando ha scritto d'altro ha fatto solo un clamoroso buco nel ROTFL. Parole pensate che riflettono il mio pensiero, e che spero mettano un punto fermo all'annosa questione della validità della Fantasy.

[Parlando della mancanza di realismo nella letteratura fantastica] so anche che attraverso quella parzialità, quell'indipendenza, quello straniamento dall'esperienza comune, [la realtà] sarà nuova: sarà una rivelazione. Sarà una visione, un sogno più o meno vigoroso e indimenticabile. Uno sguardo all'interno, non all'esterno. Un viaggio attraverso lo spazio degli abissi psichici di un altro [...].
L'immaginazione, secondo me, [...] partecipa della Creazione, che è un aspetto della gioia eterna. E tutto il resto non è che Politica, o Pedanteria, o Mainstream Fiction, che possa riposare in pace[1].

Ursula K. Le Guin. Santino del giorno




[1] Le Guin, U.K. (1979). The Language of the Night. Essays on Fantasy and Science Fiction. Trad. it. a cura di Anna Scacchi. Editori Riuniti, Roma, 1986

Commenti

  1. Sostiene un mio amico, classicista molto competente, ma supplente precario di italiano per portare a casa la pagnotta, che il "la" alla crociata anti-fantastico in Italia lo abbia dato Manzoni, con alcuni sui scritti in cui criticava la letteratura fantastica, a cui si accodarono nei decenni successivi molti letterati ed intellettuali. Quelli erano però tempi dove la letteratura in Italia era solo per un elite.

    Quando poi la popolazione imparò a leggere, tra le due guerre, e si diffusero romanzi, racconti e fumetti "fantastici", arrivò il secondo attacco, da parte degli intellettuali di sinistra, che consideravano l'unica letteratura degna di nota quella iperealistica, possibilmente di critica sociale.

    Il risultato è che per molti anni qui in italia gli intellettuali non si avvicinavano neppure per sbaglio alla letteratura fantastica, perchè i mostri sacri del secolo precedente non la consideravano valida, mentre il proletariato, che magari il fantastico lo leggeva pure, lo considerava comunque un qualcosa di "Serie B", perchè così diceva il partito.

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    1. Sul Manzoni non sapevo, ma in effetti mi era venuto da scrivere un paio di righe sul rapporto tra sinistra e letteratura realista, accennando magari al realismo socialista del Blocco Orientale e sulla sua influenza qui in occidente. Purtroppo, però, i blog hanno tempi e spazi che non sono quelli di una conferenza o di un libro di testo! Mi riservo magari di scriverci un articolo in futuro. Grazie della segnalazione :)

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    2. Sono l'anonimo di sopra. Se riesco (ultimamente non vedo spesso quel mio amico) posso informarmi su queli erano i testi manzoniani in oggetto, ma non assicuro nulla :)

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    3. Rieccomi :) l'ho beccato proprio in questi giorni, così su due piedi tra i testi in cui Manzoni criticava l'uso del fantastico nei romanzi del suo tempo (in contrapposizione a quelli del passato) mi ha citato "Del romanzo storico", ma probabilmente c'e' anche altro (forse alcune lettere).
      Anche perchè dando una lettura molto veloce non mi sembra che in "Del romanzo storico" ci siano poi posizioni così forti (anche se traspare una certa antipatia dell'autore per gli autori classici che usavano dei&C anche quando avrebbero potuto farne a meno).

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