"Cosa fai?" "Lo psicologo." "Sì, ok, ma di mestiere?"

Questo post è per voi, o giovan(n)i ignoramus che state pensando di iscrivervi alla Facoltà di Psicologia. Per darvi un'idea della situazione che c'è là fuori, finché siete in tempo.
Qualche giovedì fa, alla mia ex Università, si è celebrato l'empia Giornata della Carriera, con tanto di pentacoli disegnati col sangue in Aula Magna, candele di cera umana e sacrifici ad As-un-Zyon, il Grande Antico preposto al lavoro interinale.

OOOOOOOH!

La Giornata della Carriera (o Career Day) è quella cosa che, se avete studiato psicologia, avrete di certo evitato una volta o l'altra. Ma a questo punto, arrivati alla fine dei vostri cinque anni, a metà del vostro tirocinio post-lauream obbligatorio e guai a non farlo, forse vi vien pure la voglia di dare un'occhiata, stamparvi una ventina di curriculum e lasciarli qui e là, si sa mai. In fondo prima o poi dovrete lavorare anche voi.
Scoprirete però - ma ve lo dico io adesso, così facciamo prima - che non è mica vera questa cosa che dovrete lavorare prima o poi. Dove sta scritto? Nessuno è sulle vostre tracce. Le aziende in fiera che hanno dichiarato di essere interessate a voi e alle vostre competenze, e che vi hanno fatto alzare dal letto all'alba dell'alba e vi hanno fatto fare un viaggio su quei carri bestiame di Trenord che speravate di non veder più vita natural durante, vi hanno mentito. Quando dicono che si interessano a voi, quello che intendono davvero è che non vi fanno una colpa per esservi laureati in psicologia.

Errori di vita che si pagano.

A loro non serve questa laurea, non più di quanto serva loro un cuore... Ma anche uno psicologo si può rendere utile in qualche modo; principalmente facendo altro. Tipo scaricare i camion, o fare l'inventario in magazzino, o servire alle casse. Tutti lavori onesti, per carità, ma allora tanto vale stare a casa, guardare una puntata di Orange is the New Black e cercare lavoro sull'internet.

110 e lode alla Magistrale

Solo il Carrefour, dopo aver detto di essere interessato agli psicologi, si è poi davvero dimostrato interessato (tanto che le ho anche appioppato un curriculum, alla signora al bancone). Di questo gli sono grato.
Poi guardo il settore che cerca psicologi e piango: Sviluppo&Mazzette.

Direte, vabbe', ma gli psicologi servono alle Risorse Umane. Seee! Che ingenuità. Sono gli psicologi del lavoro che si occupano di Risorse Umane. E se sei un clinico tipo moi, ahimè, non è che sia il tuo campo.
Io però questo lavoro lo farei lo stesso perché voglio mangiare, c'ho questo vizio, e dato che nessuno investe più nella salute mentale - e neanche nella salute fisica se è per questo - devo gettarmi su altri lidi. Ma diamo pane al pane: questo non è un lavoro che si improvvisa, son due anni di Magistrale per farlo.

Se non lavoro il paradosso temporale risultante potrebbe provocare una reazione a catena
che scomporrebbe la tessitura del continuum tempo-spazio distruggendo l'interno Universo!
Riconosco che è l'ipotesi più pessimistica: potrei soltanto non mangiare questa settimana.

Anedottika: c'è stata questa mia amica (anche lei laureata in psicologia) che mi ha accompagnato al Career Day e che alla domanda della psicologa del lavoro sul perché avesse scelto di fare domanda alle Risorse Umane si è inventata che quello è un campo che le interessa, uh quanto, lei non immagina guardi. Tutta una cosa di lavoro di squadra e psicologia sociale. E la psicologa del lavoro le ha sorriso e si è visto che sapeva, ma non ha parlato.
Santa donna.

C'è la galera per certe bugie

Igitur, se volete studiare da psicologi clinici, bene, padroni, ma sappiate che non c'è un lavoro ad attendervi. Il lavoro ve lo create voi: girate, vi proponete, pregate. Lo sospettavate? Anche io, ma sono andato al Career Day per accertarmene. Così dopo cinque anni di studio e uno di tirocinio aggratìs dovrete aprire uno studio, una partita IVA e dare via anche le lacrime per pagarvi un commercialista. Questo solo per essere in pari con le spese (naturalmente, se scegliete questo percorso). Per sopravvivere no, dovrete dare ripetizioni a una legione di ragazzini e speriamo non in nero, ché a pagarvi in voucher scappa da ridere anche a me.
Ma lo si fa. E alla fine si sopravvive anche. Solo, dimenticatevi il posto fisso, almeno per i primi anni.


Commenti

Post popolari in questo blog

Le lezioni americane di Italo Calvino: Leggerezza, Rapidità, Esattezza

Che schifo, la tripofobia!

Tra storia e narrativa: L'esempio di 300 di Frank Miller